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  •  18/06/2020
Laura Gigliotti

Foto: 1) Filippo de Pisis,  Natura morta occidentale, 1919. Verona, collezione della Fondazione Cariverona © Archivio fotografico della Fondazione Cariverona © Filippo de Pisis by SIAE 2019; 2) Le cipolle di Socrate, 1926. Olio su tela, 73 × 38,2 cm Musée de Grenoble Ph. J.L. Lacroix © Filippo de Pisis by SIAE 2019; 3) Filippo de Pisis Pugile, anni quaranta. Tecnica mista su carta, 48,5 × 35 cm   Collezione privata, Bologna © Filippo de Pisis by SIAE 2019; 4) Filippo de Pisis Vaso di fiori, 1949.  Acquarello su carta,   50 × 34,8 cm Collezione privata, Bologna © Filippo de Pisis by SIAE 2019


Dopo cento giorni di chiusura il Museo Nazionale Romano di Palazzo Altemps ha riaperto i battenti nel rispetto delle norme di sicurezza,  grazie all’impegno della direzione del Museo e di tutto il personale, con orari sfalsati (salvo tornare alla normalità dopo un periodo di sperimentazione), con una rassegna dedicata a Filippo de Pisis. Un’iniziativa promossa e organizzata dal Museo Romano e dal Museo del Novecento di Milano dove nei mesi scorsi è stata presentata un’ampia retrospettiva antologica dell’artista curata da Pier Giovanni Castagnoli, cui si deve, insieme a Alessandra Capodiferro responsabile del Museo di Palazzo Altemps,  anche l’edizione romana,  prodotta da Electa con il sostegno dell’”Associazione per Filippo de Pisis” .  

La rassegna romana è più contenuta di quella milanese. Solo ventisei i dipinti in mostra distribuiti nell’arco di oltre trent’ anni che testimoniano la varietà e ricchezza degli interessi del pittore. L’accento viene  posto in particolare sulla sua produzione grafica, sui disegni, le carte che rivelano come l’arte del passato, le testimonianze dell’antica statuaria greca e romana siano al centro del suo mondo poetico, della sua riflessione sul tempo e la storia. Fra questi si segnalano alcuni capolavori come “Le cipolle di Socrate” del ’26, “L’archeologo” del ’28, “Il piede romano” del ’36 e molti esemplari di nudo virile, una costante della sua produzione. “Alle perfette e durevoli, polite forme dei marmi delle collezioni di scultura antica Altemps, Boncompagni Ludovisi, Del Drago, Albani, Mattei, Jandolo, Veneziani, Brancaccio sono accostati fragili opere grafiche su carta, disegni a matita o sanguigna e acquerelli dell’artista, un universo massimamente maschile in cui compaiono volti, teste, nudi in posa dal vero”, precisa Capodiferro. Un’inquieta bellezza di forme reali e vive che pare sbocciare da un ideale statuario. Come appare nei volti di ragazzo esposti nella Sala del Galata e nei frammenti marmorei riversi a terra che si stagliano giganteschi contro minuscole figure umane.  

In virtù di questa attenzione alla produzione grafica, la rassegna romana assume una fisionomia del tutto nuova, confessa Castagnoli, che sottolinea il rapporto dell’autore col contesto in cui si trova. All’interno del laboratorio del grande pittore, protagonista del ‘900 italiano, si scopre il formidabile disegnatore. Il disegno si sa ha un codice a sé, ma ha intersezioni con la pittura, la completa, la arricchisce. Per de Pisis, sottolinea il curatore, il disegno non è preparatorio di qualcosa, si muove parallelamente alla pittura, in un dialogo segreto, in una comunicazione sfuggente. E si scopre una sottile relazione fra i suoi disegni privati e la scultura antica ospitata nella cinquecentesca residenza del cardinale Marco Sittico Altemps. Una continuità d’ispirazione che si manifesta fin dalla prima sala con “L’archeologo”, un olio del ’28 in prestito dai Musei civici di Nervi in cui a dominare è l’imponenza del passato in contrasto con la pochezza del presente, i frammenti ridotti in pezzi di una grande statua antica per chissà quale naufragio. Una pittura eccentrica, anticlassica, che non concede niente alle avanguardie ma coabita con oggetti indecifrabili e pratica improbabili accostamenti di oggetti i più disparati. Conchiglie gigantesche, sculture, piovre vegetali che allungano i loro tentacoli  in ogni direzione, pani gloriosi e pesci sacri che rimandano a un quadro di de Chirico. “Amara, sensuale, triste, qualche volta violenta e perversa, ma mai e poi mai facile”, così descriveva de Pisis la sua pittura che non s’incamminava lungo le strade delle avanguardie e nemmeno abbracciava il ritorno all’ordine. Una posizione scomoda che non sminuisce però il valore del suo linguaggio. 

Filippo Tibertelli  (in arte Filippo de Pisis) nato in una famiglia aristocratica nel 1896 a Ferrara (che in occasione del centenario gli dedicò una memorabile mostra), fu un intellettuale con interessi molteplici, storico- critici e soprattutto letterari e poetici, tanto da pubblicare vari volumi di prose e liriche ispirate a Pascoli, a Govoni, collaborando con giornali e riviste e lasciando un’infinità di inediti. La penna e non il pennello fu la sua compagna più amata a cui  fu sempre fedele, a cui si applicò con continuità, mentre si dedicò alle ricerche figurative con intermittenza. Eppure tutti lo conoscono come pittore grazie anche all’incontro con De Chirico, Savinio, Carrà e Soffici. Un grande pittore, originale, che crede nella contaminazione delle arti ed è  fuori dagli schemi. Inizia tardi a dipingere. Sono del 1908 due tavolette eseguite ad imitazione di antichi maestri, seguono alcune copie di miniature rinascimentali. Le prime nature morte sono del ’14, degli anni ’20 le nature morte marine metafisiche. Fino al 1920 e anche nel biennio successivo ciò che conta per lui è la letteratura e la poesia. Solo nel ‘24 l’incontro col grande metafisico De Chirico e con i suoi adepti comincia ad avere effetto. “Natura morta con aragosta” è del ’24. De Chirico rompe l’isolamento in cui il giovane viveva, riesce a fargli prendere coscienza di sé, a risvegliare in lui l’interesse per  la pittura, a fargli capire il significato di essere un artista. Merito della pittura metafisica nata nella bella Ferrara, città metafisica per eccellenza. Un grande pittore e un grande viaggiatore de Pisis, vissuto fra Ferrara, Roma, Venezia, Parigi, Londra, Cortina. Notorietà e successo che non gli garantirono   però il premio alla Biennale di Venezia   del ’48, la prima dopo la guerra, perché omosessuale.  Una vita romanzesca come la morte nel 1956 in una clinica per malattie nervose.

Con Roma de Pisis ha avuto un rapporto particolare. Vi giunge nel 1919. C’è anche De Chirico che in un articolo per “La Provincia di Ferrara” definisce  “il più forte e originale che vanti oggi il nostro paese”. Nell’urbe entra in contatto con Olga Signorelli, animatrice dei salotti romani d’avanguardia, grazie alla quale inizia una collaborazione con la Casa d’Arte di Anton Giulio Bragaglia che organizza la sua prima mostra personale di acquarelli e disegni alle Grotte degli Avignonesi. In una lettera alla Signorelli definisce Ferrara una “città morta” tanto che il conte Grosoli  lo invia a Roma come corrispondente letterario stipendiato di due giornali cattolici. Un impiego stabile che lo induce a lasciare la sua casa bolognese per trasferirsi nella capitale. Abiterà a Via Monserrato 149 presso le sorelle Cipolla trasformando la sua stanza in un “atelier delle meraviglie”. A Roma de Pisis si trova bene, è una città accogliente e piuttosto mondana. L’artista visita i musei, affascinato dalla pittura del Seicento e da Caravaggio, frequenta gli intellettuali e gli artisti, dai futuristi Marinetti, Prampolini, Dottori, Pannaggi, a Mario Broglio, a Spadini con cui va a dipingere all’aria aperta, ma senza aderire, come sarà anche in seguito, a nessun movimento o manifesto. Un soggiorno importante quello romano, sia per la sua vita che per la sua arte malgrado la mostra inaugurata nel ’20 non riscuota alcun successo. Del resto fino a questo momento si considera più poeta-letterato che pittore. E se per vivere accetta di insegnare lettere in una scuola la città gli fa scoprire una vita nuova, svincolata dalle costrizioni della provincia che descriverà in diari, poesie erotiche, libri, articoli. E  dopo Assisi dove insegna latino in un ginnasio, stimolato da Spadini, de Pisis torna a Roma deciso a dedicarsi alla pittura, aprendo, uno studio che chiamerà “Gabbia d’oro” in un ex granaio del principe Massimo. Presenta le sue opere al Teatro Nazionale, la sua seconda mostra importante, viene invitato alla III Biennale Romana, Bragaglia gli organizza un’altra personale. Il suo nome comincia a circolare. E’ pronto  nel ’25 per il gran balzo verso Parigi dove ritrova de Chirico che lo presenta ai maggiori artisti del tempo: Braque, Picasso, Matisse, Svevo… 

Museo Nazionale Romano  di Palazzo Altemps, Via di S. Apollinare, 46 Roma. Orario: dal martedì al venerdì 14.00 – 19.45; sabato e domenica 10.30 – 19.45; chiuso il lunedì. Mostra aperta fino al 20 settembre ’20. Biglietti unicamente online www.coopculture.it e tramite call center 06-39967701. Modalità di visita: ammessi al massimo 14 visitatori ogni 15 minuti con mascherina. Misurazione temperatura all’ingresso, igienizzazione a disposizione, percorso a senso unico.  


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