foto: Leonardo Bison
È stata lanciata il 16 marzo sui social l’’inchiesta Cultura e lavoro ai tempi di Covid-19 e fotografa una situazione precaria e negativa per tutti i professionisti del settore dei beni culturali. L’inchiesta, tutt’ora in corso, è stata strutturata in forma di questionario e nell’arco di tre giorni ha raccolto oltre 1400 risposte da parte dei professionisti. A inchiesta conclusa, gli avviatori dell’indagine produrranno un documento con i dati raccolti da destinare al governo e cercare una soluzione per questi professionisti.
Il Coronavirus ha paralizzato il paese, ma in particolare il settore culturale e l’inchiesta Cultura e lavoro ai tempi di Covid-19 lo dimostra. È Leonardo Bison, archeologo, ricercatore e portavoce di 'Mi riconosci? Sono un professionista dei beni culturali' ad affermarlo durante un’intervista dell’agenzia Dire, per chiarificare le condizioni dei lavoratori della cultura.
«La politica sembra non avere sentore di ciò che sta succedendo e che è stato anche fatto succedere. Si sono chiusi in pochissime ore musei e aree archeologiche senza prevedere parallelamente misure emergenziali e ammortizzatori sociali per chi lavora». La problematica principale è la perdita del lavoro. Dal 23 febbraio, infatti, dopo l’entrata in vigore dei primi decreti governativi con i quali si provvedeva ad annullar le uscite e le gite scolastiche, molti lavoratori si sono ritrovati a casa da un giorno all’altro.
Solo il 34% possiede un contratto a tempo determinato, la restante percentuale di lavoratori possiede un contratto precario; chi determinato, chi a chiamata, chi Co.Co., o chi un contratto a progetto.
I professionisti che hanno partecipato all’inchiesta via social Cultura e lavoro ai tempi di Covid-19 per il 35% dei casi hanno dichiarato di lavorare con Partita Iva. Tra le domande dell’inchiesta, ne è stata posta una per comprendere la portata della situazione; è stato chiesto loro di indicare il numero di colleghi nella loro stessa situazione. «Ebbene – riporta Bison - quasi tutti ci stanno rispondendo che conoscono oltre dieci persone messe come loro o peggio».
Il Decreto Cura Italia prevede per i liberi professionisti, quindi anche per quelli del settore dei beni culturali, 600 € una tantum che dovrebbero andare a sopperire alle mancanze di entrate. Ma questi liberi professionisti sono diventati tali solo perché «vogliono lavorare con un museo o una biblioteca, non perché si sentono liberi professionisti».
I soldi previsti dal Decreto Cura Italia non bastano: «In una situazione in cui le persone hanno perso il lavoro, la retribuzione, il reddito e non vedono futuro, l'unica cosa che fa il decreto nei confronti dei lavoratori è il blocco dei licenziamenti, che ha effetto limitato nel settore dei beni culturali perché molte persone hanno contratti precari».
Da questo presupposto sono arrivate a due soluzioni possibili:
- reddito di quarantena - idea «arrivata da altri e che noi abbiamo diffuso»;
- reddito di cittadinanza esteso ai lavoratori della cultura – 700/800 € al mese a tempo indeterminato fino alla fine del periodo di crisi.
C’è solo una cosa importante per Bison: le persone devono sapere che avranno i soldi per magiare