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  •  18/12/2019
Federico Maria Santilli

(Foto 1: il Partenone attualmente riconosciuto tale. Foto 2: Tempio di Eretteo.)


Il vero Partenone probabilmente non è quello che ad oggi viene identificato come tale. A sostenerlo è un archeologo olandese dell'Università di Utrecht, Janric van Rookhuijzen, la cui ultima ricerca svela che l'edificio che gli antichi greci chiamavano “Partenone” sarebbe in verità una porzione dell'Eretteo (Eréchtheion), un altro tempio che si erge sempre sull'Acropoli di Atene.

Secondo gli studi di van Rookhuijzen, che saranno pubblicati sulla prestigiosa rivista “American Journal of Archaeology” all'interno del numero in uscita a gennaio 2020, il grande tempio dedicato alla dea Atena attualmente riconosciuto come il Partenone (dal greco antico “sala delle vergini”) è stato identificato così a causa di un'interpretazione non corretta. Ciò che è noto sui templi presenti sull'Acropoli di Atene è stato storicamente ricavato dall'opera in dieci volumi intitolata “Guida della Grecia”, redatta nel II secolo d.C. da Pausania “il Periegeta”; nel suo scritto Pausania chiama “Partenone” proprio il tempio che fino ad ora ha mantenuto tale denominazione. Passando in rassegna le iscrizioni (inventari) contenenti l'elenco e la classificazione dei tesori dati in offerta alla dea Atena e confrontandole con ciò che ha scritto il Periegeta, van Rookhuijzen ha però tratto delle conclusioni che andrebbero a smentire quanto affermato dal Periegeta stesso.

Innanzitutto, le iscrizioni riportano che i tesori di Atena venivano divisi in base alla loro tipologia: gli oggetti d'oro venivano stipati nell'Hekatompedon (“tempio lungo cento piedi”), quelli d'argento nell'Opisthodomos (“sala posta dietro”) e quelli d'antiquariato nel Partenone; tra gli oggetti d'oro di cui viene fatta menzione figura una statua con le sembianze di Atena alta 11 metri che è stato accertato fosse situata nella sala principale del grande tempio che oggi viene comunemente definito Partenone. Questo tempio, oltre alla sala principale, possiede anche una sala più esigua; appurato che quella più grande si tratterebbe dell'Hekatompedon, la stanza più piccola, secondo molti studiosi, dovrebbe essere invece quella destinata agli oggetti d'antiquariato, ovvero il Partenone vero e proprio, da cui deriverebbe il nome dell'intero tempio. Se la supposizione fosse davvero esatta, a rigor di logica l'Opisthodomos dovrebbe essere necessariamente collocato in un altro punto dell'Acropoli. Prendendo però in considerazione il significato di “Opisthodomos”, è più verosimile che sia essa la sala posta alle spalle di quella principale nel tempio grande della dea Atena, e non il Partenone (ciò sarebbe confermato anche da alcune fonti antiche). Ma allora la sala destinata agli oggetti d'antiquariato dove si trova?

Non lontano dal grande tempio dedicato ad Atena, sorge un tempio più piccolo che si pensava fosse stato eretto prima per Poseidone, il dio dei mari, e poi per Eretteo (da cui ha ripreso il nome), famoso re di Atene; in verità è stato anch'esso consacrato alla dea Atena, come testimonia una piccola lampada bronzea a forma di nave da guerra rinvenuta durante gli scavi con sopra la scritta “tesoro sacro di Atena”. Tale ritrovamento ha anche provato che pure questo tempio più piccolo conteneva dei tesori dati in offerta ad Atena. Potrebbe dunque trovarsi qui il vero Partenone? La conferma la fornisce Pausania. Il Periegeta, infatti, descrivendo nella sua opera il tempio in questione, afferma di aver visto al suo interno una spada persiana, un'armatura e una sedia pieghevole, tutti oggetti menzionati negli inventari e stipati nel Partenone, la sala, appunto, destinata agli oggetti d'antiquariato. Nel tempio, inoltre, sono presenti molte decorazioni raffiguranti le sacerdotesse vergini che si occupavano della gestione del tempio stesso, e perfino delle statue di vergini, le famose “Cariatidi”, che sorreggono il tetto di una loggia; il richiamo al significato della parola Partenone, ovvero “sala delle vergini”, è pertanto ben evidente.

Se la ricerca svolta da van Rookhuijzen ricevesse l'approvazione della comunità accademica, si verificherebbe quello che Josine Blok, un'altra studiosa dell'Università di Utrecht, ha definito un “piccolo terremoto”, con ripercussioni incalcolabili sulla conoscenza storica di Atene e della cultura classica di cui è “portavoce”.


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