Foto, in ordine: “L'Urlo” custodito nel Munch Museum di Oslo; immagini delle analisi effettuate sull'opera. Credit: Munch Museum & Science Advances.
“Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramontò. Il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue. Mi fermai. Mi appoggiai, stanco morto, a un recinto. Sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo, infinito, pervadeva la natura”.
Con queste parole l'artista norvegese Edvard Munch ha descritto l'episodio che ha ispirato il suo capolavoro più celebre, “L'Urlo” (il titolo originale è “Skrik”), simbolo dell'inquietudine e della malinconia che tormentano gli esseri umani. Tra il 1893 e il 1910 Munch ha realizzato con tecniche diverse 4 versioni dell'opera; una delle più conosciute, quella del 1910, è conservata al Munch Museum di Oslo. Dal 2006 questa versione dell'Urlo viene sottoposta a “restrizioni” espositive a causa del suo fragile stato di conservazione, ma ora un team internazionale di ricercatori guidati dal Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha individuato la causa del progressivo scolorimento che l'affligge: “è l'umidità e non la luce a provocare lo sbiadimento dell'opera” si legge nello studio, che è stato pubblicato lo scorso venerdì sulla rivista “Science Advances”. Grazie a questa scoperta, che ha chiarito “le condizioni ambientali ottimali per esporre il dipinto”, il capolavoro di Munch potrà finalmente tornare a essere esposto perennemente senza problemi.
Per ottenere il risultato “diagnostico”, sono state utilizzate presso il Munch Museum di Oslo le strumentazioni portatili, basate su metodi non-invasivi di spettroscopia, della piattaforma europea Molab (finanziata dalla Commissione Europea nel contesto del progetto Iperion-Ch), un laboratorio mobile coordinato da Costanza Miliani, direttrice dell'Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale (Ispc) del Cnr; successivamente, presso l'infrastruttura europea Esrf (European synchrotron radiation facility) a Grenoble, in Francia, sono stati effettuati esperimenti con sorgenti ai raggi X su micro-frammenti prelevati dall'opera.
“L'artista”, spiega Letizia Monico, ricercatrice presso l'Istituto di Scienze e Tecnologie Chimiche “Giulio Natta” del Cnr di Perugia, “ha miscelato diversi leganti, quali tempera, olio e pastello con pigmenti sintetici dalle tonalità vibranti e brillanti per creare colori di forte impatto. Sfortunatamente, l'ampio utilizzo di questi nuovi materiali rappresenta una sfida per la conservazione a lungo termine delle opere d'arte del pittore norvegese”. La versione dell'Urlo del 1910 mostra, in particolare, evidenti segni di degrado in diverse aree dipinte con gialli di cadmio, una famiglia di pigmenti costituiti da solfuro di cadmio. “L'originale colore giallo brillante di alcune nuvole del cielo e del collo del soggetto centrale, appare oggi sbiadito. Nella zona del lago, le dense ed opache pennellate di giallo di cadmio mostrano invece tendenza a sfaldarsi”, precisa la Monico. Grazie anche ad alcune indagini su provini pittorici di laboratorio invecchiati artificialmente, preparati utilizzando una polvere storica ed un tubetto ad olio di giallo di cadmio appartenuto a Munch, si è potuto constatare, afferma la Monico, “che il solfuro di cadmio originale si trasforma in solfato di cadmio in presenza di composti contenenti cloro ed in condizioni di elevata umidità relativa percentuale; ciò accade anche in assenza di luce”.
Il risultato di questo studio coordinato dal Cnr, raggiunto insieme ai ricercatori, partner del progetto, dell'Università italiana di Perugia, dell'Università belga di Anversa, del Bard Graduate Center di New York, del sincrotrone tedesco Desy di Amburgo e del Munch Museum di Oslo, potrà inoltre essere utile per “curare” altre opere d'arte che soffrono di problemi simili. Esistono, infatti, come spiega la direttrice dell'Ispc Costanza Miliani, differenti formulazioni dei pigmenti gialli a base di solfuro di cadmio e non sono presenti solo nelle opere d'arte di Munch ma anche in quelle di altri famosi artisti a lui contemporanei come Henri Matisse, Vincent van Gogh e James Ensor.