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  •  11/08/2020
Laura Gigliotti

Foto: 1) e 2) mostra; 3) Roy Lichtenstein, Blonde 1978

Apre a Siena con una grande mostra il Santa Maria della Scala, celebre per il ciclo di affreschi del Pellegrinaio, uno dei primi ospedali in Europa organizzato per accogliere i pellegrini diretti a Roma e sostenere i poveri e i “gettatelli”. Una mostra internazionale organizzata da Opera – Civita, promossa dal Comune di Siena, curata da  Simona Bartolena, che presenta la collezione permanente della Johannesburg Art Gallery, fondata da lady Florence Philips e aperta al pubblico nel 1910. Viene esposta una selezione  di una sessantina di opere fra olii, acquarelli e grafiche firmate da artisti noti in tutto il mondo come Monet, Degas, Van Gogh, Cézanne, Modigliani, Turner, Picasso, Bacon, Rossetti, Wharhol, Lichtenstein. E accanto a questi maestri dell’arte occidentale è in mostra una scelta di opere di artisti sudafricani e di colore. Si tratta di una panoramica che ripercorre oltre un secolo di storia dell’arte moderna, in particolare inglese e francese, che va dalla metà dell’Ottocento al secondo Novecento spaziando dall’Europa agli Stati Uniti agli artisti del Sudafrica, a cui è dedicata l’ultima  sezione della rassegna (catalogo Skira).

Particolarmente avvincente la storia della fondazione della Galleria, la prima del continente africano e della persona che l’ha fortemente voluta e resa possibile, Lady Florence Philips nata nel 1863 in Africa, a Cape Town. Suo padre, Albert Frederick Ortlepp era un naturalista, ispettore dei territori  di Colesberg, il marito Lionel Philips, con cui si trasferì a Johannesburg, discendeva da una famiglia di mercanti della “lower middle class” londinese. Un potente uomo d’affari, uno dei più importanti  magnati delle miniere di diamanti sudafricane che divenne presidente della “Chamber of mines”. E impegnato in politica fino al coinvolgimento personale nel tentativo inglese che andò fallito di abbattere il governo sudafricano saldamente in mano ai boeri.  L’impresa si concluse con la condanna a morte  di Philips, tramutata poi in esilio in Inghilterra. Lady Philips che aveva fino allora viaggiato molto, torna accanto al marito e si trasferisce con lui a Londra dove inizia, prima timidamente poi con sempre maggiore sicurezza,  ad interessarsi all’arte nella convinzione che poteva essere di aiuto per le classi più bisognose e quindi contribuire al riscatto sociale dell’Africa stessa. “Noi possiamo sperare – diceva – che in futuro cresca una Scuola d’Arte Sudafricana e che lo studio dei capolavori che siamo riusciti ad assicurare a questa galleria aiuti anche a incentivare gli artisti locali”. Per realizzare un progetto così ambizioso poté contare nel sostegno del marito, di alcuni magnati dell’industria e dei consigli di Sir Hugh Lane, fine esperto d’arte aperto al nuovo, mercante, appassionato mecenate, che collaborò anche alla costituzione della collezione della Galleria di Arte Moderna di Dublino.  Un museo, quello di Lady Philips, nato da un sogno, ma anche da un caparbio impegno personale e da tanta passione, che continua ad essere il più importante museo d’arte dell’Africa. Si dice che per acquistare i primi lavori abbia venduto uno splendido diamante azzurro che le aveva regalato il marito.  

 La mostra si snoda lungo le sale al piano superiore rivestite di legno grezzo, con un allestimento essenziale e un accorto gioco di rimandi fra un’opera e l’altra, un artista e l’altro. Dopo un’introduzione dedicata alla figura di Lady Philips, seguono le diverse sezioni, dall’Ottocento inglese e i preraffaelliti, alle opere francesi della seconda metà dell’Ottocento, alle novità del linguaggio  impressionista, al passaggio al XX secolo fino ai grandi contemporanei Warhol e Lichtenstein. A chiudere l’ampia sezione dedicata all’arte africana  che accanto ad artisti molto famosi in occidente come William Kentridge, annovera pittori sconosciuti da noi, ma di sicuro talento che si ispirano alla società in cui vivono. Come George Pemba, simbolo della lotta contro l’Aphartheid, che a differenza di altri rimane nel proprio paese, come Irma Stern, Selby Mvusi,  Maggie Laubser. E Maud Summer, pittrice, scrittrice, poetessa di formazione europea che torna nella madre patria. Sua una frammentata e coloratissima veduta di “Venezia rossa” del ’52. C’è anche un italiano, Armando Baldinelli, anconetano, che dopo aver partecipato alle principali esposizioni italiane, Biennale di Venezia, Quadriennale di Roma, nel ’63 si trasferisce in Sudafrica. Artista eclettico, passa dall’affresco al disegno, sensibile agli influssi cubisti e surrealisti come in “Piccolo porto” del ’47. Pannelli informativi bilingue delle diverse sezioni e accuratissime didascalie accompagnano nella visita che termina con la saletta video. Una sosta utilissima per conoscere il contesto sudafricano, il graduale e complesso passaggio dall’Apartheid a una forma di società più democratica e per scoprire, ed è questa la novità, la scuola d’arte sudafricana.

 Ad aprire il percorso il ritratto di Lady Philips a 46 anni, vera protagonista dell’esposizione, realizzato nel 1909 da Antonio Mancini, grazie anche all’amicizia con John Singer Sargent, presente in mostra con un’immagine della chiesa di Santa Maria della Salute di Venezia, la città che occupa un posto importante nella sua produzione. A seguire la scena inglese con opere dei grandi esponenti del romanticismo britannico come Turner e dei Preraffaelliti come Dante Gabriel Rossetti, John Everett Millais, Sir Lawrence Alma – Tadema. Di Turner, l’artista che secondo Ruskin più di ogni altro è stato capace di “rappresentare gli umori della natura in modo emozionante e sincero” due splendidi paesaggi, un’acquaforte e un acquerello. In “Regina Cordium” Rossetti  ritrae Elisabett Siddal, la modella e pittrice che posò per tanti preraffaelliti, un volto icona del loro modello di bellezza femminile. Di Alma –Tadema, uno dei massimi esponenti della stagione artistica dell’epoca vittoriana, “La morte del primogenito”, immaginata in un oscuro e misterioso Egitto.

Molto ampia e articolata la sezione dedicata alla pittura francese, sponsorizzata da Sir Hugh Lane che aveva ampie vedute, Lady Philips era più tradizionalista. Ci sono quasi tutti, dai grandi maestri che aprono la strada alla pittura del vero, ai protagonisti dell’Impressionismo, ai pittori che traghettano l’arte nel nuovo secolo. Dal realismo di Courbet “La scogliera a Etretat”,  alla veduta da Grand Tour di Corot “Paesaggio”, fino a Van Gogh. Segue una carrellata sulle origini dell’Impressionismo. Da Eugène Boudin che scopre Claude Monet all’esplosione del movimento con la celeberrima esposizione presso il fotografo Nadar nel 1874. Ed ecco Monet, Sisley, le ballerine di Degas,  Guillaumin e Signac, Bonnard, Vuillard. Il percorso prosegue con alcuni protagonisti della scena postimpressionista che indicano strade diverse alle nuove generazioni.  Fra i grandissimi Cézanne di cui è in mostra una litografia a colori delle celebri “Bagnanti”, Van Gogh è presente con un carboncino su carta “Ritratto di uomo anziano”.  Di Auguste Rodin che ha elaborato soluzioni innovative fondamentali del linguaggio scultoreo moderno è esposto un leggero disegno a matita su carta “Studio di nudo”.

Gli artisti del Novecento arrivano piuttosto tardi nelle collezione di Johannesbourg, anche perché Lady Philips che muore nel  1940  predilige gli artisti del passato e il suo consigliere Hugh Lane che aveva mostrato grande intuito per gli Impressionisti, non s’interessava alle nuove generazioni e  ai movimenti d’avanguardia.  La presenza di opere del ‘900 è frutto di donazioni  e acquisizioni successive, ma è comunque di alto livello, come si deduce dalle opere scelte per l’esposizione.  I cinque Picasso, quattro grafiche e una significativa “Testa di Arlecchino” a matita e pastello, dell’ottava sala, fronteggiano tre litografie di Matisse, “Donna seduta” espressione di quella tendenza in voga in tutta Europa come “ritorno all’ordine”,  “Ballerina allo specchio” e  “Donna con fiori”. Di Amedeo Modigliani  “Ritratto di Mme Van Muyden”,  matita su carta del 1915.

Al centro della parete di fondo si staglia l’enorme serigrafia di Andy Warhol che ritrae lo stesso personaggio “Joseph Beuys” in tre tonalità diverse. Di lato di Francis Bacon un olio su tela del ‘69 “Ritratto di uomo”, dai lineamenti corrosi e deformati, di Henry Spencer Moore, che considerava l’opera su carta non una forma espressiva minore,  ma fondamentale, “Figure in piedi” carboncino e inchiostro.  E’ di Roy Lichtenstein “Blonde” una litografia a colori che strizza l’occhio alla Pop Art, scelta come immagine simbolo e richiamo della mostra.
Siena, Santa Maria della Scala. Orario: tutti i giorni dalle 10,30 alle 18.00, fino al 10 gennaio 2021.  Informazioni: 0577- 286300 e sienasms@operalabotatori.com  



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