Foto: 1) Shanghai, 2010; 2) Roma, 2007; 3) Paris, 1997; 4) la mostra.
“In tutta la mia carriera ho privilegiato l’interesse per lo spazio, mi sono impegnato a osservare e riprendere quello che mi sta intorno scegliendo dei punti da cui lanciare lo sguardo”, confessava una decina d’anni fa Gabriele Basilico spiegando il suo modo di lavorare in occasione dell’adesione ad un progetto che raccontava per immagini l’Italia contemporanea per i cento anni di Confindustria. E’ uno degli innumerevoli contributi che tornano in mente visitando la grande retrospettiva “Metropoli” aperta al Palazzo delle Esposizioni fino al 14 aprile. Il titolo “Metropoli” rappresenta la sintesi del suo pensiero e riassume in maniera plastica il senso della sua attività artistica e documentaria. Basilico non esita a paragonare la sua “visione dall’interno, ravvicinata e materica” a “un vero tavolo operatorio dove l’anatomopatologo della documentazione-visione prende atto di ciò che sta scoprendo e lo rappresenta anche attraverso una scelta estetico-compositiva oltre che rivelatrice-informativa”.
Scomparso nel 2013, era nato a Milano nel ’44, l’architetto Gabriele Basilico, considerato a livello internazionale fra gli esponenti più autorevoli della fotografia contemporanea, ha fin dai suoi esordi puntato l’obiettivo sul paesaggio urbano, sulle sue trasformazioni, sul suo incessante divenire, sulla città che può trasformarsi in metropoli. “La fotografia è un’arte che ha permesso a Basilico di cogliere il mondo-città in divenire”, ricorda Marc Augé. Ma quale città? “Una città strana, che abbiamo sempre l’impressione di riconoscere, e che spesso riconosciamo, ma senza essere certi di poterla situare, una città che si trova ovunque e da nessuna parte ”risultato dell’urbanizzazione, della trasformazione dei centri storici in settori riservati ad altro, della nascita di “filamenti urbani’” nei quali coesistono imprese, industrie, centri commerciali, zone incolte, aree abbandonate, quartieri popolari. Questa realtà polimorfa in perenne mutamento viene fissata dal fotografo in immagini senza veli, senza indulgenza, così com’è.
Dapprima è Milano a suscitare il suo interesse. “Questa città mi appartiene e io appartengo a lei”, diceva. E cosa avrebbe fatto se avesse potuto assistere al cambiamento dopo l’Expo 2015, si chiede in catalogo Roberta Valtorta ricordando quei “Ritratti di fabbriche” realizzati alla fine degli anni Settanta, che documentano realtà destinate a scomparire e richiamano atmosfere sironiane. Oggetti anch’essi di quella città che costituisce il nucleo essenziale della sua ricerca. E dopo Milano e i suoi settori operai e industriali altre città in Italia e nel mondo, sempre volgendo lo sguardo non tanto e solo agli aspetti monumentali, ma anche alle periferie, ai margini, all’edilizia in cui si mescolano senza soluzione di continuità luoghi urbani di diversa natura e funzione, la catapecchia accanto all’edificio storico, l’antico e il moderno in un amalgama che testimonia l’impronta del tempo.
Curata da Filippo Maggia e Giovanna Calvenzi che è stata vicino al Maestro per una vita, la rassegna presenta negli ampi spazi al piano superiore del Palaexpo 250 immagini di diverso formato, per la maggior parte in bianco e nero, alcune mai esposte prima, realizzate nell’arco di una quarantina d’anni, dal settanta al duemila. Sono distribuite in cinque grandi capitoli. Oltre “Milano. Ritratti di fabbriche 1978 -1980”, “Sezioni del paesaggio italiano”, “Beirut”, due campagne fotografiche per la prima volta esposte insieme, la prima del “91 in bianco e nero documenta le distruzioni della città dopo quindici anni di guerra, la seconda a colori del 2011 si apre alla speranza raccontando la ricostruzione. Segue la sezione che dà il nome alla rassegna “Le città del mondo”, le metropoli. Un viaggio nel tempo e nello spazio, da Napoli, a Genova, Istanbul, Gerusalemme, New York, Mosca, Shangai. E poi c’è ”Roma” la città in cui Basilico ha lavorato molto a più riprese con progetti sempre diversi. Uno dei più intriganti riguarda Giovan Battista Piranesi. Nel 2010, in occasione di una mostra celebrativa del grande incisore e archeologo, la Fondazione Cini di Venezia commissionò a Basilico una serie di foto che avessero lo stesso punto di vista di alcune celebri incisioni piranesiane. Un confronto stimolante fra la Roma di oggi e quella di due secoli e mezzo prima. Ma pur avendo a disposizione trecento incisioni dovette essere un’impresa ardua. A raccontarlo in un piccolo video in sala è lo stesso Basilico. “Lavorare a Roma è un dramma, c’è sempre una marea di gente che cammina. Difficile trovare gli stessi punti di vista, la città è cresciuta”. E fa l’esempio del Pantheon, al tempo di Piranesi attorno non c’era niente e poteva inquadrarlo da lontano, cosa impossibile oggi. In mostra dodici fotografie da Piranesi.
Al centro della prima sala tre bacheche con i libri che raccolgono le foto di una vita, a cominciare da “Milano. Ritratti di fabbriche” (1978 – 80), primo lavoro dedicato alla periferia industriale della sua città e prima mostra in un museo (Padiglione di Arte Contemporanea Milano 1983). Importantissimi gli incarichi a livello internazionale, come la documentazione delle coste del Nord della Francia su mandato del governo francese nell’84, la missione a Beirut nel ’91, dove tornerà nel 2003, 2008 e 2011. Nel ’96 con Stefano Boeri realizza un’accurata indagine sui mutamenti del paesaggio del nostro paese. “Sezioni del paesaggio italiano”, che verrà presentata e premiata alla VI Biennale di Architettura di Venezia. Forse perché ritraggono luoghi comuni, vicini, di cui è facile avere esperienza, sono queste le foto più interessanti per il visitatore italiano, commentate da Boeri in un video. Sono le immagini viste andando da Milano verso Como, da Venezia – Mestre a Treviso, da Rimini Riccione al Montefeltro, da Firenze a Pistoia, da Napoli a Caserta, da Gioia Tauro a Siderno. Un viaggio che di ideale però ha ben poco, tante sono le brutture che s’incontrano in un territorio che ha perduto ogni armonia, ogni logica. Spoglio d’alberi, tra pochi sparuti resti del passato e palazzi alveari, ciò che si percepisce è solo un’accozzaglia di edifici pseudomoderni, di insegne, di strade, di antenne che spuntano nel deserto. Oggetti diversi e anonimi che il fotografo osserva e ritrae in modo impietoso. Un racconto per immagini di come si sta sbriciolando il “bel paese”.
Nella seconda sala l’esplosione delle metropoli in cui il nuovo si mescola all’antico, l’edilizia di pregio a quella comune, le baracche ai grattacieli. Grandi stampe in bianco e nero e a colori coprono le pareti. Protagonista assoluta la città, la sua passione prioritaria. Dall’Europa agli Stati Uniti, all’Asia non c’è megalopoli che non sia stata ritratta da Basilico che confessava: “Quello che mi interessa in modo costante, quasi ossessivo è il paesaggio urbano contemporaneo, il fenomeno sociale ed estetico delle grandi, rapide, incontenibili trasformazioni in atto nelle città del pianeta…” E ancora “Il compito del fotografo è lavorare sulla distanza, di prendere le misure, di trovare un equilibrio tra un qui e un là, di riordinare lo spazio, di cercare infine un senso possibile del luogo”.
Ed ecco Milano dove alcuni resti archeologici appaiono assediati dai nuovi edifici, Napoli che è tutto un brulichio, Mosca vista dall’alto, immensa, Montecarlo in cui le case s’innalzano per rubare il cielo, Gerusalemme una conurbazione infinita, Istanbul moderna e cadente, San Francisco e i suoi prati popolati di gente stesa al sole, Barcellona in cui alla altissima Torre Agbar di Jean Nouvel, simbolo della città contemporanea, si contrapponevano nel 2004 cadenti edifici imbrattati di scritte. “I suoi splendidi paesaggi urbani non si rivolgono soltanto al nostro bisogno di soddisfazione estetica, ma compiono un passo oltre quel bisogno per rilevarne un altro, più profondo: quello che abbiamo chiamato ‘conoscenza’… Un’enciclopedia urbana, un autentico catalogo di stili, scuole, sogni e poi (man mano che la città procede verso la periferia) vulgata, meltin ‘ pot di mille stili, talora studiati, altre volte adocchiati, orecchiati…”, scrive Luca Doninelli.
E poi c’è Roma, la città antica, i Mercati di Traiano, l’Arco di Settimio Severo, la città monumentale e barocca, la Fontana di Trevi, Trinità dei Monti. E la città moderna colta nella sua dimensione metafisica, il Palazzo della Civiltà del Lavoro all’Eur. E’ storica e suggestiva una foto presa dal Mausoleo di Augusto che ritrae in notturna la Teca eretta negli anni Trenta dall’architetto Morpurgo a protezione dell’Ara Pacis Augustae. La foto è senza data, ma è certamente anteriore al 2006, anno in cui venne sostituita dall’opera di Richard Mejer. La rassegna è accompagnata da un bel catalogo Skira che riporta tutte le immagini in mostra con presentazione dei due curatori e di Roberta Valtorta, Luca Doninelli e Marc Augé .
Roma Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale 194. Orario: domenica, martedì, mercoledì e giovedì 10.00 – 20.00; venerdì e sabato 10.00 – 22.30; lunedì chiuso. Fino al 13 aprile. Informazioni: tel. 06-39967500 e www.palazzoesposizioni.it