Foto: 1) Sala di Costantino, Battaglia di Ponte Milvio ; 2) Pinacoteca, Sala VIII Raffaello “incoronazione della Vergine” o “Pala Oddi”, “Trasfigurazione”, “Madonna di Foligno”; 3) Panorama Città del Vaticano; 4) Giardini di Castel Gandolfo
Nel primo giorno di riapertura dei Musei Vaticani dopo il lungo periodo di chiusura per il Covid i visitatori sono stati 1700, il giorno dopo quasi il doppio. Una quota molto ridotta se paragonata ai 20 mila ingressi precedenti, ma in progressione, verso quel limite giornaliero stabilito attualmente intorno alle 4 mila persone, considerando lo scaglionamento degli ingressi, il prolungamento degli orari e l’aumento delle presenze nel fine settimana. “Dati che ci confortano”, dice Barbara Jatta direttore dei musei Vaticani, accompagnando un manipolo di fotografi alla scoperta delle ultime meraviglie dei Musei del Papa che vantano un percorso lungo sette chilometri.
“Un lento riprendere che ci permette di ragionare, di trovare cose positive. Non siamo mai stati fermi nel periodo di chiusura”, precisa la direttrice, “attoniti, preoccupati ma solo per la situazione sanitaria”. Ed è convinta che uscirà qualcosa di nuovo, facendo presente i tanti lati positivi per il visitatore che in questi giorni potrà ammirare i tesori dei Vaticani in piena sicurezza, senza fretta, senza fare file. Fatta la prenotazione che è gratis (costava 4 euro), via mail si acquista il biglietto per il giorno stabilito e il gioco è fatto. Naturalmente restano valide le riduzioni per gli studenti, per i pellegrini, per le varie categorie. Dopo quasi tre mesi di chiusura sarà possibile tornare a visitare anche le ville pontificie di Castel Gandolfo e, esclusivamente il sabato e la domenica dalle dieci alle diciotto, i meravigliosi giardini della residenza estiva del Santo Padre.
La prima visita guidati dalla direttrice è alla Pinacoteca voluta nel ’32, tre anni dopo la firma dei Patti Lateranensi, da Papa Pio XI, papa Ratti , il papa “costruttore” che aprì i Musei al pubblico, prima erano visibili ma non per tutti. Il nuovo edificio, progettato, dell’architetto Luca Beltrami, comprende diciotto sale in cui è esposta la collezione mobile della Santa Sede, dipinti e arazzi che vanno dall’XI al XIX secolo, ma anche la direzione, gli ambienti di servizio e sette laboratori di restauro specializzati per tipologia di materiali in cui lavorano quasi cento tecnici specialistici. Sono gli anni in cui l’architetto Giuseppe Momo progetta la splendida scala elicoidale e nell’area assegnata alla Santa Sede (mezzo chilometro quadrato) si realizzano le fondamentali infrastrutture della nuova città del Vaticano.
Nucleo centrale, cuore della Pinacoteca, la sala VIII dedicata a Raffaello completamente rinnovata. Dipinti ed arazzi hanno una sofisticata illuminazione, una luminosità mai vista. Fuori metafora si tratta del nuovo impianto Osram che proprio in questi giorni si sta mettendo a punto. In alcune pareti della grande sala che ospita conferenze stampa e convegni sono sempre stati esposti a rotazione dietro vetro alcuni dei dieci arazzi di Raffaello, realizzati su incarico di Leone X per ornare la Cappella Sistina, tessuti a Bruxelles nella bottega di Pieter van Aelst . Prima non si vedevano, erano al buio, ora invece sono la prima cosa che colpisce. Entrando infatti, proprio di fronte, spiccano le trasparenze della meravigliosa “Pesca miracolosa”. E poco più in là i tre dipinti simbolo della sala, l’ “Incoronazione della Vergine”, opera giovanile dipinta nel 1502 – ’03 per la famiglia Oddi, detta “Pala Oddi” (tempera grassa su tavola, trasportata su tela), collocata nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia, la “Madonna di Foligno”(tempera grassa su tavola, trasportata su tela), commissionata prima del 1512 a Raffaello da Sigismondo de’ Conti, abbreviatore apostolico di Giulio II, posta inizialmente nella chiesa dell’Ara Coeli e poi trasferita dalla nipote nel monastero di S. Anna delle Contesse di Foligno e l’imponente “Trasfigurazione” (tempera grassa su tavola), capolavoro e sintesi della sua pittura, commissionata a Raffaello nel 1515 dal cardinale Giulio de’ Medici nipote di Leone X e futuro papa Clemente VII, che intendeva donare alla Cattedrale di Narbona e che invece passò alla Chiesa di San Pietro in Montorio sul Gianicolo. Tutti e tre i dipinti vennero tolti dagli altari in cui si trovavano e trasferiti nel 1797 in base al Trattato di Tolentino nel Museo Universale del Louvre a Parigi. Caduto Napoleone a Waterloo, col Congresso di Vienna, rientrarono nella penisola solo grazie all’instancabile opera diplomatica di Antonio Canova, che era stato nominato ispettore generale delle Belle Arti, inviato a Parigi da Pio VII per recuperare le opere d’arte saccheggiate a Roma e negli altri centri dello Stato Pontificio. Che non tornarono negli altari delle cappelle in cui si trovavano, ma in uno spazio aperto perché potessero essere visibili al maggior numero di persone.
L’altra novità della sala, conseguente proprio a questo esilio, sono le cornici “napoleoniche” dei tre dipinti. Due anni fa, racconta la Jatta, nel corso di un sopralluogo a Santa Maria di Galeria, in un deposito della Santa Sede, ha notato una grande cassa impolverata in disparte sulla quale era scritto “Cornici di Raffaello”. Tanto è bastato per aprirla e scoprire all’interno delle aste di cornici di cirmolo stagionato a foglia d’oro che appartenevano ai quadri di Raffaello in Pinacoteca, identificate grazie a vecchie foto e ricerche d’archivio. Cosa era successo? Una volta rientrati in Italia i dipinti sono stati esposti all’epoca di Pio IX nella sala Bologna, quindi nella nuova Pinacoteca di Pio X nel 1909, poi con gli arazzi della Scuola Vecchia nella grandiosa sala VIII di Beltrami, dove tuttora si trovano. Ma al momento del trasferimento nel ‘32 si pensò di sostituire quelle cornici con altre in legno di noce, rimaste fino alla fine degli anni Settanta. Infine essendo piuttosto pesanti ed invasive si decise di rimuoverle lasciando le tre pale senza alcuna cornice. E così le ha trovate Jatta arrivando alla guida dei Vaticani. Quel ritrovamento fortuito ha innescato il ripristino di quelle aste a foglia d’oro da ascrivere ai primi decenni dell’Ottocento restaurate da Stefano Tombesi. Una scelta estetica. Altra novità, la peruginesca Pala Oddi, l’unica delle tre opere di Raffaello non restaurata negli ultimi decenni, è stata in questo periodo oggetto di un intervento che ha recuperato il blu del mantello della Vergine che sembrava perduto.
Dopo Raffaello della Pinacoteca, i grandi cicli pittorici delle Stanze, di Eliodoro, della Segnatura, dell’incendio di Borgo e in particolare del Salone di Costantino finalmente visitabile dopo cinque anni di lavori. ”Nonostante le limitazioni imposte dalla pandemia – afferma Barbara Jatta - in questo periodo i Musei non si sono mai fermati ed hanno portato avanti innumerevoli attività, studi e lavori”. Fra questi sicuramente uno dei più impegnativi ma di grande soddisfazione è stato il restauro di tre delle quattro pareti della Sala di Costantino, la più grande delle “Stanze” di Papa Giulio II, commissionata da Papa Leone X Medici nel 1519 a Raffaello, ma terminata sulla base dei suoi disegni dall’allievo Giulio Romano e da altri artisti della sua bottega, a causa della prematura scomparsa dell’artista nell’aprile del 1520.
I lavori, sotto la direzione scientifica di Guido Cornini, sono stati eseguiti dal Laboratorio di restauro dipinti e materiali dei Musei Vaticani coordinato da Francesca Persegati, con Fabio Piacentini capo ponte e il supporto scientifico del Laboratorio di diagnostica per la conservazione e il restauro dei Musei Vaticani diretto da Ulderico Santa Maria. Sono terminati mercoledì 13 maggio liberando dalle impalcature tre pareti con i primi episodi del ciclo, “Visione della Croce, Battaglia di Ponte Milvio, Battesimo di Costantino. Resta da affrontare l’impresa della quarta parete, quella con le finestre.
Un lavoro da far tremare le vene e i polsi che ha dato enormi soddisfazioni agli artefici, ma anche agli appassionati e agli studiosi in quanto ha fornito nuovi dettagli sull’intero ciclo pittorico e una sensazionale scoperta che doveva essere al centro di un convegno internazionale di tre giorni fissato per aprile in occasione delle celebrazioni raffaellesche. Tutto annullato per le emergenze sanitarie. Ma la scoperta resta e se ne parlerà a lungo. Per primo Giorgio Vasari nelle “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti” aveva scritto che Raffaello nei suoi ultimi giorni aveva dipinto due figure ad olio. Raffaello al culmine del successo, dopo le Stanze, della Segnatura, di Eliodoro e dell’Incendio di Borgo, decideva di sperimentare l’olio sul muro, una tecnica usuale della pittura su tavola. Le due allegorie, “Iustitia” e “Comitas” realizzate rispettivamente a tempera grassa e ad olio, presentano sotto la superficie numerosi chiodi, ritrovati durante il restauro, che avevano la funzione di ancorare alla parete la “colofonia” la pece greca, stesa a caldo e ricoperta da Raffaello con un sottile strato di intonachino bianco a simulare sul muro le medesime caratteristiche di una tavola su cui stendere la pittura a olio.
Con l’improvvisa scomparsa del maestro il 6 aprile 1520 il cantiere viene affidato a Giulio Romano e Giovan Francesco Penni eredi della bottega e in possesso dei suoi disegni preparatori. Che non continuano la sua tecnica, ma tornano al più facile affresco, smantellando la parete ma lasciando integre le due figure forse proprio come segno di rispetto per il maestro.
Il “disvelamento” delle pitture appena restaurate è avvenuto il 13 maggio scorso alla presenza del direttore dei Musei Vaticani e di una ventina di persone tra esperti e ricercatori dei Vaticani. Un esito che giunge a seguito dei lavori di pulitura e restauro che si concluderà nel 2021 con l’intervento sulla “Donazione di Roma” affrescata dalla Scuola di Raffaello sulla quarta parete della più grande delle Stanze dell’appartamento di rappresentanza del papa al secondo piano del Palazzo Apostolico.
Informazioni: www.museivaticani.va