Sono stati 358 i musei statali italiani analizzati dal Boston consulting group per conto del Ministero dei Beni delle Attività culturali e del Turismo. Il loro contributo economico è di 1,6% del PIL del Paese, circa 27 miliardi di euro, ottenendo ricavi di 278 milioni di euro nel 2017. Il report “Cultura: leva strategica per la crescita del Paese” sono stati presentati oggi da Giuseppe Falco, amministratore delegato del Boston consulting group, alla presenza del Ministro Dario Franceschini.
Un’analisi difficile e capillare è stata quella condotta dal gruppo guidato da Falco. Difficile perché è stato necessario unire i dati di tutti 358 musei, capillare perché sono stati analizzate quattro dimensioni: ambientale, economica, sociale e culturale. Lo studio, che si è basato sui bilanci consuntivi dei musei autonomi del 2017, non poggia le proprie fondamenta solo sul flusso di visitatori in entrare e il loro valore economico per il Paese, ma ha scavato più in profondità.
Le quattro dimensioni sono state divise per indicatori; la dimensione culturale è stata suddivisa in “Ricerca e pubblicazioni”, “Supporto alla visita”, “Opere esposte”, “Restauri”. Quella economica in “Ricavi da visitatori”, “Impatto complessivo sul PIL”, “Turisti attratti”, “Contributi privati”. Mente la dimensione sociale in “Numero visitatori”, “Occupazione”, “Coinvolgimento scuole”, “Partecipanti attività didattiche”. Infine, l’ambientale in “Effetti sull’ambiente”.
I dati che saltano subito agli occhi, oltre a dati economici riportati di sopra, sono quelli relativi all’occupazione e al numero di visitatori. Ci sono 117 mila posti di lavoro all’interno dei musei e il numero di visitatori nell’anno preso in esame è stato pari a 53 milioni. Circa il 20% dei turisti è venuto espressamente per visitare uno dei musei statali.
Dal lato culturale, di significativa importanza due degli indicatori: restauri ed opere esposte. Dei musei presi in considerazione, solo il 49% ha restaurato opere e solo il 6% ha opere in una collezione esposte al pubblico. Su quest’ultimo ha spiegato Franceschini: «Sicuramente c'è margine per migliorare in modo consistente il numero delle opere esposte ampliando le sale e le strutture, ma se c'è un'opera conservata nei depositi che in un museo più piccolo diventerebbe un'icona perché legata al territorio, penso che questa operazione da museo dello Stato a museo dello Stato si possa fare».
Ma questi musei, definiti come una Ferrari dal Direttore generale Musei Antonio Lampis, possono fare di più. C’è del potenziale inespresso da tirare fuori. È lo stesso studio presentato da Falco a portarlo all’attenzione. Le ipotesi di potenziale, realizzate confrontando il mercato internazionale, riguardano i proventi, che potrebbero arrivare tra gli 800 mila e 1 miliardo di euro (provenienti dai visitatori, contributi privati, ecc.), la quantità di visitatori, 30 mila visitatori in più di cui il 10% studenti insieme all’aumento di 2 milioni per le attività didattiche, e l’aumento dei posti di lavoro, che passerebbero dai 117 mila di adesso a circa 150/200 mila.
«Sgombero il campo da un possibile equivoco - ha concluso Franceschini - i musei non nascono per portare risorse allo Stato, ma per una funzione di educazione, formazione, informazione e attività scientifica. Questo è l'obiettivo primario, ma per farlo servono risorse. In questo senso, non c'è nulla di male se si raccolgono risorse attraverso la promozione e contemporaneamente si fa crescere l'economia».