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  •  03/09/2020
Filomena Merola

È morto all'istituto dei Tumori di Milano lo storico dell'arte Philippe Daverio. Lo ha reso noto su Facebook la regista teatrale e direttrice del teatro Franco Parenti di Milano, Andree Ruth Shammah.Nato a Mulhouse, nel 1949, figlio di un costruttore italiano e di un'alsaziana, aveva ricevuto un'educazione di stampo ottocentesco. A Milano, dove la famiglia si trasferì presto, si era iscritto al Politecnico per studiare economia. La sua vocazione però, diceva, era quella di storico dell'arte, mestiere che ha finito per professare in un ruolo del tutto particolare, cucito sulla sua vulcanica personalità. 

Poliglotta, eclettico, instancabilmente curioso e coltissimo, Daverio aveva la capacità di mescolare argomenti e linguaggi e il dono di farsi seguire da tutti. L’arte, diceva, “Deve servire un po' a questo deve aiutare a capire il proprio tempo”. Gallerista, produttore, editore, animatore di mille iniziative, consulente di tanti importanti restauri milanesi dal Duomo a Palazzo Reale, impegnato nel Cda della Scala, a lungo giurato del Campiello a Venezia, è stato tentato dalla politica, assessore alla cultura a Milano nella prima giunta leghista, quella guidata da Formentini. “Un fallimento”, ammise. Un’esperienza che lo aveva deluso e lasciato, diceva, “in condizioni vicine alla povertà”. 

Era il 1997, si aprirono nuove strade e nuove opportunità, con quasi un ventennio di televisione e tante pubblicazioni alle quali ha affidato il racconto dell'arte e delle bellezze del paese, borghi e monumenti, che magnificava e invitava a scoprire, ponendosi sempre come una guida d'eccezione, un compagno di viaggio affabile e straordinariamente erudito, capace di passare con estrema naturalezza da Giotto all'architettura fascista, dal rapporto con il sacro delle avanguardie intellettuali russe del primo Novecento alla nascita del Barocco. 

La politica come impegno civile torna in campo negli ultimi anni, con gli appelli per la salvaguardia di Venezia e gli interventi sul paesaggio, ma anche con le idee per un museo più vicino alle esigenze della contemporaneità. Il suo ideale - sapientemente raccontato in tanti volumi - avrebbe non a caso messo in discussione tutte le categorie del conosciuto, confondendole e rimescolandole, per raccontare una nuova storia o semplicemente per rileggerla con occhi diversi. Un museo, diceva, “Dove a spiegare la pittura politica ci siano, raccolte in un'unica grande sala, la colossale ‘Zattera della Medusa’ di Theodore Gericault e la ‘Libertà guida il popolo’ di Delacroix, ‘Guernica' di Picasso e il ‘Quarto Stato’ di Pellizza da Volpedo, la ‘Statua della Libertà’ di New York e la ‘Fucilazione’ di Goya”. 

La cultura, le istituzioni e anche la politica, gli rendono omaggio. Dal ministro Franceschini che ne ricorda anche la straordinaria umanità al direttore degli Uffizi Schmidt per il quale è stato “uno dei più efficaci e felici ambasciatori dell’arte”, e per il sindaco di Milano, Sala che ne richiama la “libertà di pensiero”. Sarà invece il museo di Brera, che lo annoverava nel suo Comitato scientifico, ad ospitare la camera ardente. Sulle prime pagine di molti quotidiani, intanto, campeggia la pubblicità della sua ultima fatica editoriale. Con un titolo che sembra riassumere l'impegno di una vita: “Racconto dell'arte occidentale, dai greci alla pop art”.


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