Foto: 1) Le nozze di Alessandro e Rossane o di Marte e Venere . Età neroniana (54-68 d.C.) .Affresco cm 155 x 143. Pompei, triclinio della Casa del Bracciale d'oro (VI 17, 42); 2) Affresco detto dei “Giovani pescatori”. Gesso e pigmenti. Tarda Età del Bronzo I. Akrotiri, Casa Occidentale, stanza 5. 122 x 69 cm. Santorini, Museo di Thera Preistorica; 3) Joseph Mallord William Turner. L’eruzione delle Souffrier Mountains nell'isola di Saint Vincent, 1815. Olio su tela cm 79,4 x 104,8.Liverpool - Victoria Gallery & Museum; 4) Servizio da tavola in argento composto da 20 pezzi (3850 grammi), Età augustea. Pompei, Complesso dei Triclini in località Moregine. Parco Archeologico di Pompei
Tornano a una grande mostra archeologica le Scuderie del Quirinale. E’ dedicata a due civiltà, due siti archeologici fra i più importanti al mondo, lontani nel tempo e nello spazio, segnati da un analogo destino. Pompei sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. e riscoperta nel diciottesimo secolo e Akrotiri, capitale dell’isola greca di Thera, oggi Santorini, nel Mare Egeo sepolta da un’eruzione nel 1613 avanti Cristo. Divise da oltre mille e settecento anni, l’una espressione della civiltà romana, l’altra della tarda età del bronzo indagata solo recentemente.
La riscoperta di Pompei offriva un’immagine nuova dell’antico, non solo quella classica e maestosa di Roma, ma quella di una città media dell’Italia antica con le sue case, le sue botteghe, i suoi lupanari, il suo modo di vivere, nutrirsi e divertirsi. E il suo benessere, il suo fasto, ma anche la sua quotidianità. “Molte sciagure sono accadute nel mondo, ma poche hanno procurato altrettanta gioia alla posterità. Credo sia difficile vedere qualcosa di più interessante”, scriveva Goethe stupito nel 1786 di fronte a quello spettacolo.
Organizzata dalle Scuderie del Quirinale, curata da Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologico di Pompei, e da Demetrios Athanasoulis, direttore dell’Eforia delle Antichità delle Cicladi, con Luigi Gallo e Luana Toniolo, è concepita come un viaggio nel tempo alla scoperte delle due antiche città accomunate dall’eruzione, preservate per millenni dalle ceneri vulcaniche. “E’ una mostra che s’inserisce in pieno nella nostra tradizione espositiva – precisa Mario De Simoni presidente di Scuderie del Quirinale – fatta di rapporti internazionali di primo livello e di organico collegamento con i principali siti e istituzioni culturali italiane” come il Parco Archeologico di Pompei.
Oltre trecento gli oggetti in mostra, fra statue, affreschi, rilievi, gemme, incunaboli, quadri che ripercorrono anche attraverso ricostruzioni di ambienti e proiezioni di videoarte un arco cronologico di tremila e cinquecento anni, dall’età del bronzo ai nostri giorni. Una mostra coinvolgente fin dalla prima sala che accoglie il visitare offrendo una visione d’insieme delle due città che hanno sigillato sotto strati dì cenere e lapilli la loro storia, la complessità della loro cultura. Sulle pareti i più antichi esempi di pittura monumentale delle case di Akrotiri in cui almeno una stanza era completamente affrescata, sul pavimento i calchi impressionanti di un cavallo disteso e di uomini e donne rattrappiti dalla morte. Accanto, con la superficie scabra e rugosa, come fosse appena uscito dallo scavo, la scultura in pietra di Finale del “Bevitore” che riverso sul pavimento cerca di placare la sua arsura. Arturo Martini la realizzò nel 1931 riprendendo la posa dei calchi dei corpi ritrovati nella Casa del Criptoportico di Pompei. Un’opera di oggi in perfetta armonia col passato a testimonianza di quanto la riscoperta delle città sepolte abbia nutrito l’immaginario collettivo degli artisti. In mostra pezzi scelti per il loro potere evocativi di Turner, Filippo Palizzi, Francesco Jodice, Alberto Burri, Renato Guttuso, Giuseppe Penone, Richard Long, Damien Hirst… che punteggiano in una sorta di dialogo del moderno e contemporaneo con l’antico tutta l’esposizione che si snoda su due livelli, il primo riservato quasi per intero a Pompei, il secondo soprattutto ad Akrotiri riportato alla luce nella seconda metà del Novecento.
Nella seconda sala protagonisti sono gli affreschi di Primo, Secondo, Terzo e Quarto Stile (secondo la distinzione operata dallo studioso tedesco August Mau nella seconda metà dell’Ottocento), provenienti dalle sontuose case di Pompei, la Casa del Frutteto, la Casa del Criptoportico, la Casa del Bracciale d’oro, che rappresentano giardini favolosi, luoghi dell’anima. Poi è un susseguirsi di reperti di altissimo pregio, disposti in modo spettacolare. Di grande fascino le ricostruzioni di un Larario, lo spazio principale del culto domestico che accoglieva le immagini delle divinità protettrici della casa come i Lari, i Penati. E di un Ninfeo rivestito di conchiglie e tessere di mosaico in pasta vitrea che costituiva lo sfondo scenografico del giardino. Dal II sec. a. C. sotto l’influenza delle grandi dimore ellenistiche, la casa pompeiana si arricchisce infatti di giardini, di porticati decorati, di fontane, giochi d’acqua, di piante scelte secondo i criteri dettati dall’ars topiaria. In mostra del I sec. d. C. il gruppo marmoreo che raffigura Ermafrodito aggredito da un satiro, copia di un originale ellenistico, che era collocato lungo la piscina della villa detta di Poppea a Oplontis. Da Oplontis e Terzigno, a rappresentare il gusto e la ricchezza dell’oreficeria dell’area vesuviano, vengono splendidi gioielli d’oro e pietre preziose. Orecchini, collane in oro e gemme, perle. E bracciali a semisfere, una creazione tipicamente romana. Nel corso degli scavi condotti nel 2000 a Moregine venne rinvenuta una gerla di vimini, nascosta sotto altri oggetti, che conteneva un servizio completo di argenteria di età augustea. Venti pezzi decorati a sbalzo per un peso complessivo di 3850 grammi. In mostra anche una grande cassaforte. E accanto agli oggetti preziosi quelli d’uso comune, altrettanto e più importanti, come i vasi, i contenitori per le bevande, per le salse di pesce, le anfore. E gli scaldavivande come quello con coperchio con presa a tritone e manici a delfino, trovato nella Casa dei Quattro Stili, unico a Pompei. Unico esemplare conservato è pure il triclinio della Casa del Menandro con decorazione in bronzo e argento.
A chiudere la prospettiva la ricostruzione della Casa del Bracciale d’Oro di Pompei utilizzando la finestra di una delle pareti per inquadrare sullo sfondo di un’altra sala il famoso “Vesuvius”di Andy Warhol. Sulla parete il piccolo prezioso rilievo in marmo che ritrae gli effetti del terremoto del 62 d. C. nel Foro, proveniente dalla Casa di Cecilio Giocondo. E ai lati, prima di salire al secondo piano, i resti carbonizzati di due tronchi di cipresso rinvenuti durante gli scavi del 1989 lungo l’antico corso del fiume Sarno, a sud di Pompei.
E’ dedicato all’eruzione minoica del vulcano di Thera il secondo piano, fra gli eventi più catastrofici dell’antichità che ebbe ripercussioni in tutto il Mediterraneo orientale che le stime attuali, basate sulla datazione del radiocarbonio, hanno indicato tra il 1600 e 1630 a. C. La nube ardente ha ricoperto completamente l’isola di Thera (che si è frammentata nelle tre isole più piccole ancora esistenti), con uno strato di pomice e cenere spesso parecchi metri, cancellando ogni cosa. Ma conservando quasi intatte le strutture architettoniche della città di Akrotiri, così come le pitture murali e gli oggetti che hanno permesso di interpretare e ricostruire la storia di quello che era uno dei principali insediamenti del Mediterraneo nell’età del bronzo. La presenza di pochissimi gioielli e oggetti preziosi, la mancanza di corpi ha fatto pensare che gli abitanti non furono sorpresi dall’eruzione ed ebbero il tempo di lasciare le loro case e salvarsi. Una questione aperta che nuove scoperte potrebbero chiarire.
Anche qui magnifiche opere d’arte, oggetti decorati, vasi di terracotta e di bronzo, giare, anfore, bacili, coppe e lucerne per illuminare le abitazioni. E utensili realizzati in materiali deperibili come legno, pelle, stoffa e paglia. E letti, elaborati tavoli a tre piedi, sedie e sgabelli che testimoniano l’elevato tenore di vita degli abitanti. C’è anche un torchio di terracotta con la vasca di raccolta e i cestini usati per la raccolta di frutta e fiori, per la pesca e la produzione del formaggio. Un’arnia in terracotta dimostra la pratica dell’apicoltura, mentre le ossa di animali ci dicono che praticavano l’allevamento. Eccezionale il calco in gesso di una pagaia. E resti di pesci, di conchiglie, di armi di bronzo. Bellissimi gli affreschi murali con i riti d’iniziazione. Ne sono esempio l’affresco delle “Adoranti”, dei “Ragazzi nudi”, dei “Giovani pescatori”. Rappresentano quattro figure maschili di età diverse che partecipano a un rito di passaggio, probabilmente dall’adolescenza all’età adulta, praticando una sorta di abluzione. E inframmezzati ai reperti dipinti e sculture che documentano l’influenza che ha avuto sugli artisti il confronto con fenomeni naturali sconvolgenti come le eruzioni vulcaniche. Ed ecco il marmo di Giovanni Maria Benzoni “In fuga da Pompei” che viene da Chicago il grande dipinto “Eruzione del Vesuvio” di Pierre- Henri de Valencienne, di Micco Spadaro dalla Certosa di San Martino “Processione con le reliquie di San Gennaro e eruzione del Vesuvio del 1631”.
Ci sono anche libri. Di Plinio il Giovane e Platone.
Scuderie del Quirinale - Via XXIV Maggio, 16 Roma. Orario: da domenica a giovedì dalle 10.00 alle 20.00, venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30. Fino al 6 gennaio 2020. Informazioni www.scuderiequirinale.it