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  •  20/07/2020
Laura Gigliotti

Foto: 1) Jacobello del Fiore, Scene della vita di Santa Lucia–Lucia riceve l’Eucarestia. 1410 ca. tempera e doratura su tavola cm 60 x 80 Pinacoteca Civica, Palazzo dei Priori, Fermo; 2) Cola dell’Amatrice, Cristo benedicente 1520-1530 ca,  cm 77 x 97, affresco staccato a massello dalla chiesa di Santa Margherita Pinacoteca Civica, Ascoli Piceno; 3) Autore anonimo di ambito marchigiano-abruzzese,  Madonna in trono con bambino fine XV sec.–inizio XVI sec.legno scolpito, dipinto e dorato cm 87, 5 x 42,5 x 31 Chiesa di San Michele Arcangelo Frazione di Porchiano (AP); 4) Autore Ignoto del XVI secolo Madonna con Bambino,Santi e Apostoli XV sec. Polittico ligneo cm 291 x 278 Chiesa di San Francesco Monte San Pietrangeli (FM).


Ancora un po’ di tempo  per ammirare una mostra veramente singolare e in luogo fra i più suggestivi di Roma. Programmata dal 18 febbraio al 5 luglio, interrotta per la serrata sanitaria, riaperta non appena possibile, era visibile fino al 26 luglio, ma proprio in questi giorni è stata prorogata fino al 20 settembre. E’ la seconda tappa di un percorso itinerante iniziato nel Forte Malatesta di Ascoli Piceno, che si concluderà  a novembre in Palazzo del Duca a Senigallia, curato da Stefano Papetti e Pierluigi Moriconi. Il catalogo pubblicato da Artifex  affianca alla scheda storico-artistica dell’opera la relazione dell’intervento di restauro e  i risultati delle ricerche che l’hanno preceduta.  Dopo di che pale d’altare, tavole, polittici, sculture lignee torneranno nei luoghi d’origine, nelle chiese e negli edifici delle Marche in cui si trovavano al momento del sisma se in condizioni di accoglierli o in attesa in depositi attrezzati della regione e visibili al pubblico. La mostra si snoda lungo le sale rinascimentali del complesso monumentale di San Salvatore in Lauro, sede del Pio Sodalizio dei Piceni, l’antica confraternita fondata nel 1633 dal cardinale Giovanni Battista Pallotta di Caldarola che fin dai tempi di Clemente XI, Cristina di Svezia, i Ghezzi, era utilizzato come sede espositiva. Uno spazio che da sempre accoglie eventi culturali di qualità  legati alle Marche   e in questo caso mirati a sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma del sisma del 2016.  E’ esposta una selezione di 36  opere restaurate, importanti  sia  per il valore artistico che devozionale, che vanno dal ‘400 al ‘700, provenienti da centri piccoli e grandi della regione. Sono olii su tela, oli  su tavola,  affreschi staccati, legni dipinti, tempere su tavola, sculture lapidee e lignee, gessi,  di proprietà di 17 enti pubblici ed ecclesiastici delle province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata restaurati  dopo il sisma da tecnici marchigiani, grazie ai contributi finanziari e scientifici di Soprintendenza, Regione Marche, Anci Marche. E con la collaborazione delle Università di Camerino e Urbino e la direzione scientifica  della Soprintendenza che si è avvalsa di innovative  indagini diagnostiche.  Sono presenti una grande varietà di tecniche e materiali a riprova della vivacità e della creatività degli artisti attivi nelle Marche. La visita alla mostra  rappresenta un viaggio nella religiosità popolare marchigiana che partendo dal centro della regione arriva fino alla costa, un viaggio nelle “cultura adriatica”, secondo le parole di Federico Zeri e Pietro Zampetti. Un viaggio che  rincuora, che dà il senso di quanto il nostro paese sia in grado di fare nel settore del restauro delle opere d’arte, ma che nello stesso tempo  preoccupa per quanto riguarda il recupero degli edifici privati, pubblici e di culto, molti dei quali sono ancora inagibili. Un lavoro questo più difficile e sempre troppo  lento. 

Nella mostra romana le imponenti pale sono esposte a pianterreno, nell’ampio vano sottostante spiccano  due autentici capolavori, il monumentale polittico di Monte San Pietrangeli attribuito a Vittore Crivelli (che lo iniziò) e  le Storie di Santa Lucia di Jacobello del Fiore. Inframmezzati ai dipinti e in fondo alle scale gessi, legni intagliati,  legni policromi. E “vesperbild”, sculture  in pietra, in terracotta, in stucco che richiamono un tipo di produzione seriale di botteghe del Nord Europa, specialmente tedesche. Una tipologia patetica che si diffonde in Italia all’inizio del Quattrocento a partire da un esemplare della cattedrale di Santa Maria Assunta di Gemona del 1402, che ebbe vasta diffusione dal Friuli al Veneto, alle Marche all’Abruzzo, all’Umbria.

Fra le opere in mostra spiccano alcune in modo particolare. Nella sala d’ingresso la grande pala d’altare con la “Visitazione” di Giovanni Baglione, la cui fama è legata soprattutto al contrasto con Caravaggio, ma che fu anche biografo di artisti  e un valente pittore.  Il dipinto fa parte della decorazione seicentesca della Cappella delle Vergini nell’omonimo santuario delle Vergini di Macerata. Nonostante illustri studiosi come Longhi e Arcangeli l’assegnassero a Baglione, è stata a lungo attribuita ad un artista ascolano Ludovico Trasi.  La scena inquadra l’incontro delle due donne sullo sfondo di un cielo azzurro, appena velato di nubi, sotto lo sguardo di Giuseppe e  di tre figure femminili. La monumentale architettura all’antica conferma la provenienza romana del dipinto. Attribuita a Ludovico Cardi, detto il Cigoli, un’altra imponente pala, ambientata in un paesaggio boscoso, “San Francesco riceve le stimmate”.  Proveniente dalla  chiesa di San Francesco di Matelica, edificata come molte pievi francescane verso la metà del XIII secolo, dopo la predicazione del Poverello di Assisi nella città marchigiana.  Nella stessa chiesa si trova anche “San Francesco di Paola che spegne la fornace in fiamme” di Giovanni Serodine. Rappresenta un famoso miracolo, il santo che a mani nude  spegne un incendio all’interno della fornace utilizzata dai frati minimi per la fabbricazione dei mattoni per il loro nuovo convento. Al centro San Francesco che si china sulle fiamme, di lato le fascine di legna, frati in aiuto e sullo sfondo una splendida veduta di paese  con un mulino e  altre costruzioni, fra potenti contrasti di luce.

Proviene da un edificio più antico distrutto il bellissimo, imponente, Crocefisso in legno stuccato e dipinto conservato nella chiesa di San Michele Arcangelo della frazione di Porchiano di Ascoli Piceno, che si fa riferire all’ambito  di Francesco Terilli da Feltre, seguace di Alessandro Vittoria  (primo quarto del XVII secolo).  Il Cristo, con il capo cinto da due verghe spinose intrecciate, è inchiodato ad una croce di legno dipinta di nero con un bordino dorato. In alto il cartiglio con la scritta I N R I. Dietro il corpo una raggiera è di epoca successiva così  come l’aureola sulla testa del Salvatore che si mostra con il viso incorniciato da una folta barba e baffi  e la bocca semiaperta per l’ultimo respiro. 

In uno snodo a metà del percorso si rimane incantati davanti agli sportelli  in legno di un armadio a muro settecentesco, dipinti fronte retro con le allegorie di Fede, Speranza, Carità e Povertà volontaria. Sono quattro sportelli provenienti dalla chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Antonio Abate  di Monsampietro Morico destinati a chiudere due armadi disposti dietro l’altare maggiore per conservare le reliquie. Da un lato le virtù teologali (Fede, Speranza e Carità) e l’allegoria della Povertà volontaria, sul retro di ognuno tre angeli in volo che sorreggono le chiavi, la spada e il libro simboli di San Pietro e San Paolo, gli strumenti della Passione e attributi di santi come la palma, le rose, il giglio. Una meraviglia di grazia, un gioco d’inventiva.

Il clou si raggiunge nella sala inferiore dove, accanto a opere di Cola dell’Amatrice e bottega,  di Baldassarre Croce  e a sculture e a dipinti di anonimi, si possono ammirare da vicino  dipinti straordinari.  E’ del veneziano Vittore Crivelli  “Madonna adorante il Bambino e angeli musicanti”, la tempera su tavola, proveniente dalla Chiesa di San Francesco di Sarnano, conservata nella Pinacoteca Civica. Un’opera mirabile per l’impianto compositivo e la resa  dei particolari dell’abito e del mantello indossati dalla Vergine. Velluti preziosi, finemente decorati,  di cui si può immaginare la morbidezza, tanto che si potrebbero toccare.  Un inno alla raffinatezza, ricco di rimandi simbolici  nei frutti e nei fiori rappresentati. Il cetriolo fa riferimento alla Resurrezione, le ciliegie al Paradiso, la melagrana alla fecondità, l’uva al sangue di Cristo.

La parete di fondo ha al centro lo splendido  Polittico della chiesa di San Francesco di Monte San Pietrangeli, commissionata il 12 agosto del 1501 dai frati minori conventuali per la loro chiesa annessa al convento di Osimo al pittore Vittore Crivelli. Una complessa macchina d’altare formata da dieci quadri nell’ordine superiore, la metà dei quali con cornici dorate e foglie intagliate, cinque nell’ordine inferiore inseriti in cornici policrome  e colonne tortili e una predella con tredici personaggi. Un insieme molto articolato che ha al centro il Compianto sul Cristo morto, al di sotto la Madonna in trono con il Bambino. Ma il pittore morì nei primi mesi dell’anno successivo dopo aver ricevuto parte dei duecento ducati stabiliti come pagamento, avendo realizzato solo una parte dell’opera. Che doveva essere completata da Antonio Solario, cognato di Crivelli. Cosa che non accadde. Poi si  persero le tracce e o ggi non sappiamo chi l’abbia terminata, anche se nel tempo sono state formulate varie ipotesi attributive. “Più che di un unico artista, un’unica mano, si è portati a pensare a una bottega frequentata da tanti maestri e altrettanti allievi, alcuni di questi più capaci, altri meno, alcuni di questi più abili nell’estrapolare suggerimenti innovativi provenienti dall’ambiente umbro-marchigiano di inizio Cinquecento”, scrive in catalogo Claudio Maggini. Una bottega che l’avrebbe portata a termine fra il 1502  e il 1510. In ogni caso risale a Vittore Crivelli  l’invenzione della macchina e per intero la realizzazione delle figure del Cristo deposto e di San Bernardino.

Un  capolavoro anche le otto tavole dedicate agli episodi della vita di Santa Lucia, opera di un altro veneziano Jacobello del Fiore (1370/1380-1439), come proposto  da Berenson nel ’32 e confermato da Longhi nel ’46. Sono tempere ed oro a guazzo e a mordente su tavola. Forse un dossale composto da una tavola unica   che  presentava scene della vita della santa  disposte su due registri (una pala chiudibile ?) separati dalla figura centrale di Lucia, di dimensioni giganti. Il racconto della vita della santa di cui la moglie del pittore portava il nome, segue il testo della Legenda Aurea” di Jacopo da Varagine. Dalla visita di Lucia, nobile fanciulla siracusana, alla tomba di sant’Agata con la madre che viene guarita, al dono dei propri beni ai poveri , alla chiamata in giudizio da parte del fidanzato  per violazione delle leggi imperiali,  e quindi alla condanna. Una storia di fede incrollabile , di santità, inserita in un ambiente sontuoso proprio del gotico cortese. Da notare la varietà degli abbigliamenti, la profusione dell’oro, l’attenzione all’espressività di volti e   la resa puntuale delle  specie vegetali che coprono il terreno in cui si svolge la scena. 

Roma, Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro del Pio Sodalizio dei Piceni, Piazza di San Salvatore in Lauro

Orario: 10 – 13 / 16 – 19 esclusi i festivi. Fino al  20 settembre. 


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