Foto: 1) Perugino, Pala dei Decemviri. Foto © Governatorato SCV – Direzione dei Musei; 2) Perugino, cimasa.Foto © Governatorato SCV – Direzione dei Musei; 3) Perugino, cornice. Foto © Governatorato SCV – Direzione dei Musei; 4) Perugino, tavola. Foto © Governatorato SCV – Direzione dei Musei.
Nei Musei Vaticani non si era mai vista così, completa di cornice e di cimasa, la “Pala dei Decemviri” di Pietro Vannucci detto il Perugino che rimarrà visibile fino al 14 aprile. E c’è una notizia che coglie tutti di sorpresa, o quasi. La splendida cornice conservata nei depositi della Galleria Nazionale dell’Umbria è un prestito a lungo termine, tanto da porre il problema di dove esporre l’opera una volta chiusa la mostra e tornata a Perugia solo la cimasa. Con un capolavoro del suo maestro si aprono in Vaticano le celebrazioni per i cinquecento anni dalla morte di Raffaello. La tavola rappresenta una sacra conversazione fra la Madonna in trono col Bambino fra i santi Lorenzo, Ludovico di Tolosa, Ercolano e Costanzo protettori della città di Perugia. Un’opera dalla storia lunga e complessa fin dalla sua gestazione. Destinata a decorare l’altare della cappella del Palazzo dei Priori venne commissionata nel 1479 a un pittore locale Pietro Galeotto che dopo qualche anno morì lasciandola appena abbozzata. A questo punto nel 1483 i Priori si rivolsero al Perugino che s’impegnò a realizzarla in quattro mesi per 100 fiorini. Ma firmato il contratto abbandonò l’impresa che venne affidata a un alto artista, Sante Apollonio che non la portò a termine tanto che si dovette richiamare il Perugino. Questa volta il lavoro venne rinviato a causa della guerra e di un’epidemia di peste. Si raggiunse l’esito sperato solo stipulando nel 1495 un nuovo contratto col pittore compensato con 100 ducati. Venne ribadito altresì l’impegno circa i soggetti da rappresentare nella pala. Nella cimasa verrà dipinto un Cristo in pietà. La sacra conversazione si svolge sotto un aereo loggiato sullo sfondo di un paesaggio collinare, la Vergine che siede su un trono di aspetto ligneo è circondata dai quattro patroni della città rappresentati con i propri paramenti liturgici. Ricordata da Giorgio Vasari e da altre fonti la pala è firmata dall’artista sulla pedana del trono “hoc Petros de chastro plebis pinxit”
La mostra in Vaticano fa seguito a quella appena conclusa a Perugia alla Galleria Nazionale dell’Umbria intitolata non a caso “Il ritorno della Pala dei Decemviri del Perugino”. Si è trattato infatti di un vero e proprio ritorno dopo due secoli nella città in cui era nata. Infatti a causa degli sconvolgimenti politico - militari che hanno interessato le monarchie europee alla fine del XVIII secolo, anche l’Umbria in quanto parte dello Stato della Chiesa, paese vinto, fu soggetta alla politica di razzia degli oggetti d’arte da parte delle armate francesi. Le opere sottratte a chiese e palazzi furono deportate a Parigi, la capitale dello stato vincitore e cestinate a confluire nel Musée Central des Arts, futuro Musée Napoleon inteso nella visione utopica illuminista del tempo come “Museo Universale”. Uno sradicamento violento dal proprio ambient che trovava la sua ragion dell’essere nell’applicazione dell’articolo 4 dell’armistizio di Bologna del 1796, ripreso dal Trattato di Tolentino del 1797. In base al quale la “la nazione francese diveniva proprietaria a tutti gli effetti delle opere” confiscate. L’occupazione militare si era risolta in una spoliazione di beni di ogni tipo, quadri, libri, manoscritti. 31 dipinti vennero trasferiti in Francia, fra questi la Pala del Perugino che il 3 marzo 1797 venne prelevata dal Palazzo Pubblico, incassata e spedita con altre opere a Livorno per essere imbarcata per Marsiglia e raggiungere Parigi via fiume. Nel 1799 venne esposta al Louvre fra i capolavori della pittura italiana, appesa sopra la Santa Cecilia di Raffaello . Ma non si sa perché i francesi lasciarono a Perugia la cornice e la cimasa che rimasero nella cappella insieme a una copia su tela del dipinto sparito. Verranno trasferite nella residenza del Gonfaloniere, poi nella quadreria dell’Accademia di Belle Arti e infine in Galleria Nazionale. Si tratta di una cornice di splendida fattura in legno intagliato e dorato, una vera e propria opera d’arte, realizzata nel 1485 dall’intagliatore Giovanni Battista di Cecco detto Bastone. Il completamento in alto di forma quadrata presenta l’”Imago pietatis”, il Cristo con le braccia distese e le mani che mostrano le stigmate. Sotto l’immagine scorre la scritta “Adoramus te xpe” incipit del famoso responsorio che si recita durante la “Via Crucis”. Scompariva così un’opera simbolo che i perugini avevano potuto ammirare per 300 anni nella Cappella del Palazzo dei Priori sullo sfondo delle pareti affrescate da Ludovico Bonfigli che raccontano le gesta e la sepoltura di Ludovico e di Ercolano e dal 1553, a seguito della soppressione della carica priorale, nella Cappella allestita al primo piano dello stesso palazzo.
Ci voleva Antonio Canova, scultore sublime, intellettuale finissimo e gran diplomatico per farla tornare a casa. Dopo la sconfitta di Napoleone Papa Pio VII inviò proprio lui, famoso in tutto il mondo, “ambasciatore speciale” del Papa a trattare la restituzione dei capolavori confiscati. Anche se non tutte tornarono capolavori come il Laocoonte, il Torso e l’Apollo del Belvedere, la Deposizione di Caravaggio, la Trasfigurazione e la Madonna di Foligno di Raffaello. E la Pala dei Decemviri.
Una volta rientrate in patria sorgeva un problema delicato, se reintegrarle nel loro contesto o non piuttosto esporle insieme in una pinacoteca “ad utilità ed esempio della gioventù studiosa”, come proponevano i paesi alleati. E così la “Pala” del Perugino, orgoglio della città, rimase a Roma “alla pubblica vista”. Dapprima, insieme ad altri pezzi rientrati da Parigi , fu esposta nella vecchia Pinacoteca di Pio VI, dal1819 la raccolta ordinata da Vincenzo Camuccini fu sistemata in cinque sale adattate da Raffaele Stern e infine dopo altri passaggi dal 1932 nella sala 7 che precede quella di Raffaello. Da cui non è mai uscita se non in occasione della mostra di Perugia.
L’esposizione è a cura del Direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta, con la collaborazione di Marco Pierini Direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, dove l’opera è stata in mostra dall’11 0ttobre del 2019 al 26 gennaio di quest’anno e con la consulenza di Guido Cornini e Fabrizio Biferali. E ospitata nella Sala XVII della Pinacoteca Vaticana, da un paio d’anni destinata a eventi legati a ricerche, studi, restauri e collaborazioni internazionali riassunti nella rassegna “Museums at Work” che esprime già nel titolo il senso dell’operazione. Anche in questo caso si è trattato di approfonditi studi, ricerche, analisi e restauri tali da rendere possibile senza alcun rischio lo spostamento di un’opera così grande che ha coinvolto da parte vaticana specialisti come Guido Cornini Responsabile del Dipartimento delle Arti, Francesca Persegati a capo del Laboratorio di Restauro delle pitture e materiali lignei, Andrea Carignani e Ulderico Santamaria.
Roma, Viale Vaticano . Orario: dal lunedì al sabato 9.00 – 18.00, ultimo ingresso alle 16. Ogni ultima domenica del mese 9.00 – 14.00 ingresso gratuito. Informazioni: www.museivaticani.va