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  •  26/02/2020
Laura Gigliotti

Foto: 1) Rilievo con Laser Scanner - rapporto tra ambiente sotterraneo (in arancio) e le strutture del portico della Curia Iulia; 2) Particolare della cassa in tufo con l’elemento circolare accanto; 3) Ingresso ambiente sotterraneo.


Da qualche tempo la Curia Iulia, restituita alla sua funzione, è tornata ad essere quello che era un tempo, un luogo di incontro dei cittadini. E lo spazio privilegiato di importanti conferenze stampa come quella di qualche giorno fa in cui Alfonsina Russo, direttore del Parco Archeologico del Colosseo, ha annunciato ufficialmente l’esito degli ultimi scavi archeologici sul Palatino. La scelta della sala non è casuale. E del resto, a pensarci bene, le ripetute allusioni ai lavori per il ripristino dell’antico ingresso in prossimità del Comizio, luogo di assemblea dei cittadini (ora si entra sul retro), dovevano far pensare che ci fosse qualche grossa novità.

Da circa un anno gli archeologi del Parco studiano attentamente tutti i documenti lasciati da Giacomo Boni (Venezia 1859 – Roma 1925), il grande architetto e archeologo chiamato nel 1898 dal ministro Boselli a dirigere gli scavi del Foro Romano e a cui si devono  fondamentali scoperte nel Palatino e  nel Foro, come il Niger Lapis e il Comizio. Fu proprio Boni, che volle essere sepolto nel roseto del Palatino, a dimostrare che il luogo in cui si riunivano le “curiae” risaliva effettivamente all’epoca regia e ad individuare nel 1899 presso il portico d’ingresso della Curia, un ipogeo che descrive minutamente l’anno dopo nella rivista “Notizie degli scavi di Antichità”. Riporta quello che ha trovato, indicando la distanza dal nucleo della gradinata,  le misure, i materiali. Si tratta di “una cassa a vasca rettangolare in tufo… di fronte alla quale sorge un tronco di cilindro di tufo” Un’ara? Il tufo è quello del Campidoglio, le cave più antiche. 

All’interno della cassa vi sono “ciottoli, cocci di vasi grossolani, frammenti di vasellame campano, una certa quantità di valve di ‘pectunculus’ (conchiglie) e un pezzetto d’intonaco colorito di rosso. Reperti che consentivano di ipotizzare la presenza nel Foro Romano a pochi metri dal Lapis Niger e dal Comizio dei resti di un cenotafio (una tomba vuota) eretto a memoria di Romolo, mitico fondatore di Roma. Ma a quella scoperta Boni non dette una particolare importanza tanto che se ne perse la memoria. Non del tutto però se nel 1998 in un testo fondamentale “Il Comizio di Roma dalle origini all’età di Augusto” ne scrive Paolo Carafa archeologo de La Sapienza, facendo riferimento anche ai materiali rinvenuti all’interno da Giacomo Boni. Il professor Carafa, molto applaudito,  è presente fra il pubblico e confessa “Ero molto giovane, c’è voluta la mia incoscienza”.  

Negli anni Trenta, esattamente fra il 1930 e il 1939, nel clima di riaffermazione dell’idea dell’impero, una volta demolita la Chiesa di Sant’Adriano, durante i lavori di restauro per rimettere in luce le strutture della Curia romana viene realizzata da Alfonso Bartoli una monumentale scala di accesso che copre il vano rinvenuto da Boni che si trova proprio sotto l’ingresso principale della Curia. Quando a novembre scorso è stato avviato il cantiere di scavo archeologico,  condotto  secondo le più aggiornate metodologie scientifiche, e lo smontaggio della scala Bartoli al fine di riproporre filologicamente l’antico accesso con Portico alla Curia, Patrizia Fortini, l’architetto Maria Grazia Filetici e l’équipe di archeologi del Parco hanno riscoperto lo spazio ipogeo intatto, dietro una tamponatura in mattoni risalente agli anni Trenta. Così come Boni  l’aveva descritto, niente è andato perduto. 

Ritrovato com’era (nonostante la costruzione della scala), a 120 anni di distanza Patrizia Fortini e tutti gli archeologi del Parco impegnati nello scavo, ristudiando la documentazione e i disegni di Boni e considerando il luogo fortemente simbolico nella storia di Roma perché prossimo al comizio, sede di assemblea dei cittadini e di antichissimi culti, hanno intuito l’importanza del rinvenimento. Naturalmente tutto il vano e l’area del portico della Curia sono documentati attraverso un rilievo in laser scanner in 3D.

“Lo scavo archeologico riprenderà alla fine di aprile e credo che ci saranno ulteriori sorprese in quanto è evidente sul lato occidentale del vano una sezione stratigrafica intatta”, dichiara Alfonsina Russo. Vi è anche un altro valido motivo per sperare che questo avvenga. Grazie a Bartoli che ha lasciato una nota pubblicata poi in un volume postumo nel 1963 e grazie ai disegni di archivio che hanno permesso di individuare due botole nella Curia in asse con il vano ipogeo che doveva essere più grande di quello che vediamo oggi in quanto tagliato dalle fondazioni della Curia Iulia in età Cesariana. In queste botole sono visibili alcuni blocchi monumentali di tufo che dovevano forse appartenere alla parete di chiusura del vano.  Ciò che si può affermare allo stato attuale è che “il sarcofago e l’elemento cilindrico collocati sul piano di calpestio del piano ipogeo  sono in quota e dunque, probabilmente in fase con i Rostra della fine VI secolo a. C.”, dichiara la Russo.

Che già pensa a come rendere visibile questo incredibile ritrovamento che ora si può solo sbirciare attraverso una fessura nella fondazione che sorreggeva la scala di accesso alla Curia.  Come? Con un pavimento “sospeso” e un sistema di passerelle come si fa nelle tombe etrusche di Tarquinia. “Pensiamo al massimo nel ’21 di aprire al pubblico contestualmente alla messa a disposizione degli studiosi dei dati via via acquisiti collegando Curia, Lapis Niger e Comizio”, promette.  E a partire da quest’anno  finalmente il restauro dell’Arco di Settimio Severo. 

E qui il discorso si sposta sugli scrittori antichi che ricordano il Lapis Niger come luogo infausto da correlare alla morte di Romolo, oltre che come luogo di sepoltura di altri due personaggi emblematici della storia di Roma, Faustolo padre adottivo di Romolo e Remo e Osto Ostilio, nonno del re latino Tullio Ostilio. Tra le fonti vi sono anche gli scoliasti di Orazio che riportano un’affermazione di Varrone secondo il quale Romolo sarebbe stato sepolto dietro ai Rostra, nella stessa posizione della camera ipogea ritrovata. Senza dimenticare Plutarco secondo il quale i senatori riuniti avrebbero ucciso Romolo e smembrato il suo corpo, mentre secondo Livio Romolo sarebbe stato assunto in cielo.

Non della tomba di Romolo si tratta dunque ma di un monumento realizzato in un momento successivo alla sua morte per tramandare la memoria e il culto del primo re. Un cenotafio, un “heroon”, una specie di santuario, dedicato a un eroe, al fondatore della città di Roma. E questo in linea col contesto in cui si trova, “post rostra”, ovvero dietro i Rostra repubblicani come dicono le fonti. E in luogo fortemente simbolico per la vita politica di Roma,  come avveniva nel mondo greco e magno greco. A Poseidonia – Poestum, proprio nel centro politico della città, l’agorà, viene innalzata una tomba simbolica dedicata al fondatore mitico della città.

La ricerca  delle origini, lo studio de miti di fondazione, in cui la storia sfuma talvolta nella leggenda ciclicamente tornano a  interessare storici, archeologi e artisti. E viene in mente “Il primo re” , il film di Matteo Rovere uscito nelle sale il 31 gennaio dell’anno scorso, costato nove milioni di euro, in cui la fantasia del regista gioca un ruolo preminente ma sulla base di un sottofondo scientifico. Il film d’avventura racconta la fondazione di Roma partendo dal mito come se fosse vero, spurgandolo degli elementi accessori. Un film dai toni forti, con scene raccapriccianti, con combattimenti veritieri, girato in un latino arcaico, con sottotitoli in italiano. Un film epico, con un profondo senso del sacro, che si cala nel Lazio dell’VIII secolo a.C. partendo dalle narrazioni degli storici classici Tito Livio e Plutarco, discostandosi dalla tradizione leggendaria, cercando di rimanere fedele al contesto. Di questa comunità nuova, la Roma dei re retta da norme sociali, politiche e religiose trattava in modo scientifico anno scorso anche una bella mostra ai Musei Capitolini che, con un percorso a ritroso, affrontava sulla base della ricerca archeologica la fase più antica della  storia della città.

 Informazioni: www.parcocolosseo.it


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