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  •  01/10/2019
Laura Gigliotti

E’ dedicata a Natalia Goncharova la mostra di Palazzo Strozzi. A una protagonista assoluta delle avanguardie del Novecento, anticonformista e innovativa, la prima a realizzare un nudo femminile e per questo censurata (cosa che si è ripetuta incredibile a dirsi anche oggi con Instagram), la prima a dipingere soggetti sacri, anche questo vietato. Un’artista fra le più grandi che  ha stentato ad affermarsi come meritava, anche se negli ultimi tempi il mercato dell’arte si è molto interessato a lei. 

Così dopo Marina Abramovic la Fondazione di Palazzo Strozzi ha proposto un’altra donna, un’artista  della modernità, poliedrica, attiva come pittrice, illustratrice, costumista, scenografa, stilista, ma anche attrice cinematografica, ballerina. Un’artista che si muove fra Oriente e Occidente, fra tradizione e avanguardia.  Che mette a confronto la sua opera con artisti che sono suoi punti di riferimento quando dalla campagna della natia Russia dove era cresciuta e da Mosca dove si era formata, ha raggiunto col compagno di una vita Mikhail Larionov, la Parigi di Gauguin, di Picasso, di Matisse. Un’apertura a tutto campo su un periodo di estrema vivacità espressiva, di novità e apertura sul mondo.  E’ sicuramente la seconda grande esposizione della Goncharova fuori della Russia.

La mostra promossa e realizzata da Palazzo Strozzi e dalla Tate Modern di Londra, dove si è già tenuta, con la collaborazione dell’Ateneum Art Museum di Helsinki dove andrà poi, curata per Firenze da Ludovica Sebregondi e per la Tate Modern da Mattehew Gale, Head of Displays e Natalia Sidlina, presenta 130 opere, fra cui 30 non esposte a Londra. E prestiti dalla Galleria Treyakov di Mosca, dal Museo Statale di San Pietroburgo, dalle collezioni della Tate, della National Gallery, della Estorick Collection e del Victoria and Albert Museum di Londra. Ma anche dal Mart di Rovereto, dal Museo del Novecento e dal Gabinetto dei disegni del Castello Sforzesco di Milano.

Particolare attenzione merita l’allestimento, colorato, dinamico e curato nei particolari, in modo che si possa  legare il ricordo anche ad elementi visivi. Non solo pannelli illustrativi, non solo schede delle opere esposte, ma  ogni sala un colore diverso, una fantasia ripresa dalle carte da parati realizzate dalla pittrice per l’illustrazione dei suoi romanzi. Un allestimento  pensato non tanto per gli addetti ai lavori, quanto per il grande pubblico degli appassionati. Così come i video disposti nelle diverse sale e il catalogo Marsilio che racconta i fatti in modo chiaro, rimandando gli approfondimenti e le informazioni relative ai dipinti alle note finali.  

Il rispetto per il visitatore si nota dalla prima sala dedicata a una biografia per immagini dell’artista. Le stesse foto che rivestono le pareti dell’ascensore che portano alle sale espositive. Nata nel 1881 a Tula nella Russia centrale in una famiglia appartenente alla piccola nobiltà, vive fino all’adolescenza in campagna. Quando la famiglia si trasferisce a Mosca, inizia la sua formazione alla scuola di pittura scultura e architettura che guarda a quanto sta avvenendo a Parigi nel mondo dell’arte dove espone già nel 1906. 

A scuola conosce Mikhail Larionov, altra figura centrale dell’avanguardia, con cui instaura una relazione aperta di vita e d’arte. Si sposeranno solo nel 1955 per garantire al sopravvissuto il lascito artistico dell’altro. Insieme a Larionov (1881 – 1964) è presente a tutte le mostre dei movimenti artistici più innovativi a Monaco di Baviera (“Blaue Reiter”), Londra, Berlino. E in Russia. L’immagine col volto dipinto a motivi futuristi risale a una “performance” che si tenne a Mosca nel settembre 1913. Nello stesso anno comincia a lavorare come scenografa e costumista teatrale  per i “Ballets Russes” di Diaghilev, con cui collabora fino alla sua morte nel 1929 per passare poi ad altre produzioni teatrali. 

Nel ’15 aveva lasciato Mosca dopo aver lavorato per il teatro Kamerny. Quindi i due artisti vanno a Parigi, poi è la volta della Spagna, di Roma. Infine il trasferimento definitivo  in Francia dove vivono come esuli per non tornare più in Russia diventata dopo la rivoluzione d’ottobre Unione Sovietica.  Le foto la mostrano vestita da contadina secondo la tradizione, ma anche in posa come una signora, con Larionov, nel suo studio parigino, accanto a Stravinsky, Massine, Bakst, Diaghilev. Giovanissima e anziana,  muore nel 1962, sempre affascinante. Nonostante la scelta di non ritornare in patria la Goncharova e Larionov desideravano che le loro opere fossero destinate al loro paese. E così è stato nel 1989, anche dopo la dispersione dell’avanguardia nelle collezioni e nei musei russi a seguito dell’affermarsi del Realismo socialista come orientamento ufficiale dell’arte sovietica post Rivoluzione d’Ottobre.

Otto le sale da visitare, o meglio nove, se di considera la saletta  a metà percorso dedicata alla “Grande Guerra”. Una serie di litografie pubblicata nel ’14, sulla catastrofe  del conflitto in cui Larionov rimase gravemente ferito. La serie  che si apre e si chiude con gli antichi santi russi, presenta citazioni apocalittiche, riferimenti alle icone, ma risente anche di suggestioni futuriste e immagini di carattere patriottico che descrivono l’eterna lotta fra il bene e il male.

S’intitola guardando a Occidente la prima sala. E a Occidente guardavano i due ricchi collezionisti russi Sergei  Shchukin  e Ivan Morozov che raccolsero icone, dipinti  di Larionov e Goncharova e a Parigi opere cubiste, fauves, postimpressioniste, aprendo al pubblico i loro palazzi.  In mostra Matisse, Picasso, Derain, Cézanne, Gauguin.   

Dal tuffo nella modernità che influenza la produzione dei giovani artisti russi al ritorno alle radici, all’arte primitiva, alla tradizione, al folclore, alla grande patria russa. La seconda sala dai parati fiorati giallo azzurro presenta dipinti legati alla vita che si svolgeva nelle proprietà della famiglia di Natalia. Due opere di Larionov e due autoritratti dell’artista. In uno indossa un elegante abito alla moda, nell’altro è vestita semplicemente, in mano dei gigli.

Di grande impatto la terza sala che ricorda la retrospettiva che si tenne nel 1913 a Mosca. Presentava circa ottocento opere fra dipinti, acquerelli, sculture, pastelli, disegni per il teatro, per figurini di moda, per tessuti.  E alcune tele grandissime come il “Polittico della Mietitura” in mostra.  13 anni di lavoro infaticabile, dall’arte tradizionale russa, alle esperienze neoprimitiviste, alle più recenti e innovative ricerche. Era la prima mostra di un’artista dell’avanguardia e fu visitata da dodicimila persone. “Questa donna trascina tutta Mosca e tutta San Pietroburgo dietro di sé; non si imita solo la sua opera, ma anche la sua personalità”, scriveva  Diaghilev.

Verso gli anni dieci  Natalia si dedica in particolare ai temi religiosi che affronterà anche negli anni successivi, almeno fino al 1916. Temi che per la tradizione ortodossa una donna non avrebbe dovuto trattare. Dipingere icone era cosa da uomini perché solo loro creati a immagine di Dio. La pittrice unisce fonti tradizionali come le iconostasi bizantine allo stile profano, alla modernità provocando così una forte reazione da parte della gerarchia e addirittura il sequestro per ordine del Santo Sinodo di alcuni pezzi come il polittico “Gli evangelisti”, in mostra, perché ritenuto scandaloso. Natalia venne denunciata per blasfemia, le sue opere considerate parodie, esposte in sale a parte. E’ del 1910 - 1911 l’olio su tela “Trittico del Cristo Salvatore” in cui si ispira alla tradizione iconografica del mondo ortodosso ma in stile moderno.

Il teatro occupa un posto molto importante nella biografia artistica di Natalia. Diaghilev le commissiona i costumi per “Le Coq d’or” dal poema di Alexander Pushkin, musica d Rimsky – Korsakov andato in scena a Parigi nel 1914. A  seguire altri balletti in Francia e in Spagna. Quindi il successo di “Sadko” del ’16 e “Le Noces” su musica di Stravinsky. Ma la fama dell’artista è legata soprattutto all’”Oiseau de feu” dello stesso Stravinsky. Un video rievoca i Balletti Russi unendo immagini, manifesti, musica, danza, pittura. Preziosi i costumi del “Principe” e della “Principessa del mare” per “Sadko”, incantevoli i figurini per “Re mago”, “Triana”, “Le Noces”, “L’Oiseau de feu”. Viene dal Victoria and Albert Museum di Londra un raro taccuino con appunti in russo e francese e schizzi con le idee preliminari per il balletto “Liturgie” di Diaghilev.

Ha le pareti rosse la sala dedicata al modernismo, quando l’artista s’interessa ai temi urbani, alla velocità, le fabbriche, le macchine, sulla spinta anche del Futurismo. Temi della modernità a cui i russi associano altre tendenze dell’arte occidentale, come la prospettiva frammentata del cubismo.  Sarà poi la volta del “Raggismo”, la teoria formulata da Larionov, il primo movimento di arte astratta di origine russa che crea forme nello spazio come risultato dell’intersezione di fasci luminosi riflessi dagli oggetti. Infine uno sguardo all’Italia, al rapporto coi futuristi. In Russia il Manifesto di Marinetti viene tradotto in cirillico.  Tramite è sempre Diaghilev che commissiona  scenari a Concharova, a Balla, a Depero. In mostra opere di Boccioni, Balla, Soffici, Depero.  

Firenze, Palazzo Strozzi, Piazza degli Strozzi 50. Orario: tutti i giorni 10.00 – 20.00; giovedì 10.00 – 23.00. Fino al 12 gennaio 2020. Informazioni 055-2645155 e www.palazzostrozzi.org   



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